“Ariaferma”: sovvertire l’ordine del controllo

Il criminale appare come un essere giuridicamente paradossale: egli ha rotto il patto, dunque è nemico dell’intera società, e tuttavia partecipa alla punizione che subisce.

Michel Foucault, Sorvegliare e punire

Michel Foucault ha dedicato la maggior parte della sua opera e del suo tempo allo studio delle grandi organizzazioni sociali: ospedali, scuole, prigioni e, in particolare, al modo in cui il potere viene esercitato in queste strutture, ovvero attraverso meccanismi anonimi che operano e agiscono in ogni spazio della società.

Nel 1975 vede la luce Sorvegliare e punire, testo in cui il filosofo mette in luce l’evoluzione storica del sistema carcerario: se nel Medioevo le prigioni esistevano solo come luogo provvisorio dove attendere l’esito della sentenza, a partire dal ‘700, in seguito alle grandi insurrezioni avvenute in Francia e in Germania, nasce una nuova idea di detenzione, che trova la sua realizzazione nel controllo e nella sorveglianza.

In particolare Foucault individua nel Panopticon, carcere ideato nel 1791 dal giurista Jeremy Bentham, il modello che riflette la logica del potere invisibile. Bentham infatti concepisce una struttura semicircolare, con al centro una torre di controllo, da cui un guardiano può controllare tutti i detenuti, senza che questi possano vederlo. Secondo Bentham questa struttura aveva la funzione di rieducare i carcerati, che sapendo di essere sempre sotto osservazione, sarebbero stati portati ad assumere un comportamento corretto.

Sempre seguendo il modello architettonico del Panopticon, fu completato a Sassari nel 1871 il carcere di San Sebastiano, oggi dismesso, dove è ambientato Ariaferma, il nuovo film del regista Leonardo Di Costanzo, presentato quest’anno Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. La pellicola mostra con intensità e forza i meccanismi di potere che si irradiano attorno alla figura del detenuto, che è vittima di decisioni su cui lui non ha nessun tipo di controllo. La storia si apre quando il carcere sta per essere chiuso e gli agenti di polizia, riuniti attorno a un fuoco, festeggiano, sollevati all’idea di poter finalmente abbandonare quel luogo fuori dal mondo. Ma improvvisamente arriva un contrordine: 12 detenuti dovranno restare lì ancora per un po’, dato che la struttura che dovrebbe ospitarli non è ancora disponibile.

Inizia così un tempo di attesa indefinito, che innesca negli agenti e nei detenuti un senso di angoscia e di paura. Inaspettatamente si trovano ad abitare lo stesso limbo: come anime infernali sulle rive dell’Acheronte attendono tutti di essere trasferiti.

Ma perché, se tanto ad attenderli vi è un altro inferno?

L’eccezionalità della situazione presente li ha privati dei loro diritti: non possono più ricevere visite dai parenti né lavorare né fare alcun tipo di attività, dato che gli agenti rimasti sono troppo pochi per controllarli tutti. In più sono costretti ogni giorno a ingoiare pasti precotti, dato che la cucina ormai è chiusa. Sarà l’inizio di uno sciopero della fame collettivo, che metterà profondamente in crisi gli agenti, fino a quando uno dei detenuti, Carmine Lagioia (Silvio Orlando), definito da una delle guardie il peggiore dei criminali, proporrà come soluzione di riaprire la cucina e di preparare pasti per tutti. Solo uno degli uomini gli darà fiducia: l’ispettore Gaetano Gargiulo, interpretato da Toni Servillo. Sarà lui ad assumersi la responsabilità di sorvegliarlo ogni giorno in cucina. Lagioia si muove a suo agio in quella dimensione che sembra appartenergli da sempre. Scopriamo infatti che suo padre, a Napoli, aveva una trattoria, che adesso lui ricorda con rammarico, come un paradiso perduto. Quelle ricette adesso hanno il sapore della madeleine proustiana: rievocano un’infanzia felice che non potrà mai più tornare.

Foto di Gianni Fiorito

Vediamo Toni Servillo e Silvio Orlando per la prima volta insieme al cinema, legati anche in questa storia dalla città di Napoli, dove entrambi negli anni ’70 intrapresero la loro carriera di attori. L’idea iniziale era quella di assegnare a Servillo il ruolo del detenuto e a Orlando quello dell’ispettore, forse per la sua aria bonaria, che difficilmente lo fa assomigliare ad un criminale. Eppure, in questa parte risulta assolutamente credibile. Anche nei momenti in cui è più rilassato tra i fornelli, è difficile dimenticare il suo passato: si resta così ancorati per tutto il film alla paura di un suo improvviso colpo di testa. Carmine Lagioia, oltre alla fiducia dell’ispettore Gaetano Gargiulo, deve quindi conquistare anche quella dello spettattore, che fin dall’inizio è pronto a scommettere su di lui.

Il loro rapporto è il nucleo centrale di tutto il film, la bussola con cui, mano a mano, impariamo a orientarci all’interno di questo spaventoso edificio. Ma è anche ciò che ci disorienta, fino a non farci più distinguere la guardia dal detenuto. Questa sensazione la ritroviamo nelle parole di Lagioia che, rivolgendosi a Gargiulo gli dice: «È tosta stà in galera eh!» e l’altro gli risponde: «Tu stai in galera. Io no».

L’occhio documentaristico di Di Costanzo si muove all’interno dei lunghi corridoi e delle celle dimesse del carcere per poi spostarsi al suo esterno, mostrandoci la struttura nella sua interezza, come se, lentamente, dai suoi organi interni risalissimo fino alla superficie del corpo che li ospita.

Il regista, senza giudizi né sentenze, ci mette di fronte a un gruppo di uomini, di cui conosciamo a malapena il reato. Ce ne mostra la sofferenza e lo smarrimento, restituendoci una possibilità: quella di ripensare la loro condizione attraverso uno sguardo nuovo, che nulla ha a che vedere con la pietà ma che invece riguarda la comprensione, l’empatia e un senso di umanità, che sembra smarrito e che invece qui è ancora potente.

Foto di Gianni Fiorito

Il film Ariaferma, prodotto da Rai Cinema e Tempesta, uscirà nelle sale il 14 ottobre.

L’immagine di copertina è di Gianni Fiorito.

Pubblicato da Carolina Germini

Nata Roma il 24/09/1993. Si laurea in Filosofia alla Sapienza con una tesi su Gilles Deleuze lettore di Proust. Durante l'Università fa due esperienze Erasmus presso École normale supérieure di Parigi, dove si trasferisce dopo la laurea e dove insegna Filosofia ai bambini. Collabora e scrive regolarmente per diverse testate e riviste e ha da poco fondato Tre Sequenze.

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