Axel Munthe, lo stregone di Anacapri

Sono tanti, per secoli hanno camminato su questa Terra, malinconici membri di una stirpe ormai quasi estinta, amati e odiati, spesso temuti, a volte disprezzati, morti nella gloria o nello scherno, hanno inseguito una vita avventurosa, più simile a un sogno, o a un incubo, che al noioso e lineare succedersi del tempo: sono gli eclettici, gli eccentrici di tutte le epoche, persone curiose, che hanno impreziosito il loro Tempo di passione, fervore e utopia e si sono dedicate con singolare genio alle arti più disparate, alla scienza, alla stregoneria, a tutte queste cose insieme.

Sull’isola di Capri, oltre le boutique di lusso e i turisti ingioiellati, in alto, dove il profumo di miele e fiori diventa antico e il mare scintilla da lontano, c’è la dimora di uno di questi uomini straordinari: Villa San Michele, la casa di Axel Munthe.

A sentire lo stesso Axel Munthe, che ne parla nel suo capolavoro La storia di San Michele, quando a diciott’anni mette piede per la prima volta sull’isola di Capri viene colto da una specie di invasamento estatico. Come se quella terra avesse per millenni aspettato il suo arrivo: il giovane svedese inizia a saltellare di qua e di là, ogni cosa che vede gli sembra avvolta da una bellezza primigenia; quando scorge i famosi faraglioni decide che deve scalare il più alto – l’invasamento lo spinge a un’azione eroica e insensata – e viene fermato solo dal buon senso della bella Gioia, l’isolana che lo sta accompagnando. Girovagando per l’isola, nella terra smossa Axel trova pezzi di colonne e marmi intarsiati. Rimane stupito dall’abbondanza di tanti reperti, ma soprattutto dall’indifferenza degli isolani: Gioia gli dice che si tratta di cose senza valore, «roba di Timberio», roba, cioè, appartenuta a una delle dodici ville che l’anziano e ombroso imperatore Tiberio fece costruire sull’isola, e dove, nel marzo del 37 d.C, morì, depresso e con il volto sfigurato da un terribile eritema. La cattiva reputazione che lo circondava gli è sopravvissuta per lunghi anni: a Capri la «roba di Timberio» viene trattata con disprezzo, si pensa porti sfortuna.

Quando già sta per farsi sera, Axel arriva in cima ai settecentosettantasette scalini della Scala Fenicia, unica via d’accesso ad Anacapri fino al 1877. Qui trova i resti della cappella medievale di San Michele, su un terreno brullo, pieno di marmi colorati, dove un vecchio, mastro Vincenzo, coltiva la vite. Mentre Axel riposa, affascinato dallo splendore del luogo, viene colto da una visione, una figura ammantata gli predice il futuro: quella terra, che gli darà grandi gioie e immensa bellezza, sarà sua, ma a costo di enormi fatiche, e soprattutto a prezzo di un male che lo affliggerà negli ultimi anni della sua vita. La figura gli svela che anche a Tiberio fu chiesto di stringere un patto simile: avrebbe potuto ritirarsi a Capri se avesse accettato di essere ricordato nei secoli come malvagio e folle. Axel, seppure spaventato, accetta il proprio destino e decide di precipitarsi in Francia per finire gli studi da medico e iniziare a guadagnare dalla professione. Per coronare il suo sogno gli serviranno infatti soldi e tempo.

Una postilla: questo articolo sarà affollato di elementi e personaggi ai quali sarà difficile credere, nonostante Axel Munthe affermi di raccontare solo la verità. Ma questo è lo stile e la sostanza dei suoi racconti: è impossibile distinguere il vero dal falso. Per fortuna alcune cose sono storicamente verificabili, per cui possiamo dire con certezza che è vero che Axel Munthe scrive La storia di San Michele su suggerimento di Henry James, più volte ospite della casa; e che ospiti della stessa casa saranno altri personaggi illustri, da Oscar Wilde alla principessa d’Assia Mafalda di Savoia, alla quale La storia di San Michele è dedicata.

A soli diciott’anni, dunque, questo giovane svedese aspirante medico decide di consacrare la propria vita a un sogno, anzi, a un luogo, il pezzo di terreno sull’isola di Capri dove sorgerà la sua dimora, il suo rifugio dal mondo. L’attaccamento quasi ossessivo alla villa costituisce il fulcro di La storia di San Michele, uno strano ibrido, come il suo autore, tra autobiografia, cronaca storica, romanzo e fiaba. Anche se fu un libro di successo, non troverete La storia di San Michele tra i libri apprezzati dalla critica: troppo eclettico lo stile, troppo confusa la poetica, che nel giro di poche pagine passa dal positivismo al misticismo, dalla scienza alla superstizione; troppo ingombrante l’autore, che infarcisce la cronaca di divagazioni liriche, a tratti grottesche, si dipinge protagonista di avventure inverosimili, eroe medico e filantropo, amico degli animali (a Capri riesce a impedire la caccia agli uccelli, praticata da secoli), sciamano (in Lapponia, racconta, in un villaggio lo riconoscono come tale).

A un critico del «Daily News» che gli rimprovera le «storie sensazionali» e mette in dubbio la credibilità delle sue avventure risponde piccato, facendo mostra del suo lato più permaloso e vanesio:

«Certamente dev’essere più piacevole sedersi comodamente in una poltrona e scrivere delle storie sensazionali che sudar freddo tutta la vita per raccogliere il materiale; più facile descrivere la malattia e la morte, che combatterle; inventare sinistri intrighi, invece di essere da questi travolto senza preavviso! Ma perché non raccolgono il loro materiale da sé, questi scrittori? […] Leopardi, il più grande poeta dell’Italia moderna, che invocava la morte in squisite rime da quando era ragazzo, fu il primo a fuggire quando il colera scoppiò a Napoli. Anche il grande Montaigne, le cui serene meditazioni sulla morte sono sufficienti a renderlo immortale, scappò come una lepre quando la peste scoppiò a Bordeaux.»

Nonostante lo scetticismo dei critici, il libro si divora come un romanzo d’avventura e non a caso fu un best seller dell’epoca, tra i libri più venduti per anni; avvinti dall’eloquenza e dalla scaltrezza del narratore, si mette facilmente da parte l’incredulità e ci si lascia incantare. Anche perché Axel Munthe disegna di sé un’immagine che in fin dei conti fa simpatia; non è mai perfetto e oscilla sempre tra luce e oscurità, tra egoismo e filantropia; è un uomo capace di fare carriera come medico imbrogliando le ricche dame parigine (divertentissime le pagine in cui racconta di come si è arricchito diagnosticando alle signore nevrotiche e annoiate la colite), ma anche di affrontare con incredibile coraggio il colera a Napoli e il terremoto a Messina (ecco perché tanto livore contro Leopardi e Montaigne). Dimostra in più occasioni di essere eccentrico rispetto alle convinzioni del suo tempo e precursore di idee moderne: profondamente animalista, contrario all’idea di omosessualità come malattia mentale, lottò contro i metodi brutali usati nei manicomi arrivando a litigare con il famoso neurologo e ipnotista Jean-Martin Charcot, rovinandosi la carriera da psicologo.

È commovente, in ogni caso, che un uomo con una vita così avventurosa, corteggiato dagli ambienti più illustri dell’Europa dell’epoca, rimanga sempre così legato alla piccola isola italiana prescelta dalla sua anima quando era giovane. Quella tra Axel Munthe e Villa San Michele è infatti la storia d’amore tra un uomo e un luogo, uno degli esempi più flagranti di questo tipo d’amore platonico. La costruisce quasi da solo, contando sull’aiuto degli isolani e dei disegni dell’architetto e artista Aristide Sartorio. Generata a immagine e somiglianza del suo creatore, la casa è piena di opere d’arte scelte per la bellezza e il valore simbolico, soprattutto opere greche e romane, ma anche egizie e etrusche. Ci sono molti reperti, frammenti architettonici trovati sul terreno durante la costruzione e oggetti che Munthe portò dai suoi viaggi. L’opera più bella e più ammantata di mistero è una Sfinge di 3200 anni in granito rosso, che Munthe volle collocare su una balaustra accanto alla cappella medievale, così come gli era stato ordinato nella visione che, sostiene, l’aveva condotto al suo ritrovamento. 

«Tutto quello che avvenne è troppo strano e fantastico per essere tradotto in parole scritte, e poi non mi credereste se tentassi di farlo. Non so bene io stesso dove il sogno finisse e dove avesse principio la realtà. […] Interrogate la grande Sfinge di granito, che sta accovacciata sul parapetto della cappella di San Michele. Ma domanderete invano. La Sfinge ha mantenuto il suo segreto per 5000 anni. La Sfinge manterrà il mio».

Appena varcata la soglia della villa si entra nella Loggia delle sculture, accolti dalla vegetazione e da un panorama mozzafiato sul Golfo di Napoli. Qui si trova la Tavola Cosmatica, un mosaico del Dodicesimo secolo che Munthe trovò a Palermo, dove veniva usato come lavatoio. Poco più avanti è collocata una preziosa opera in marmo bianco risalente alla prima età imperiale, un dono delle suore di clausura di Napoli, come ringraziamento per il suo aiuto durante l’epidemia di colera. Passeggiando per la casa si coglie l’intenzione di viverla in continuità con il paesaggio, un concetto molto di moda adesso, ma meno scontato all’epoca. All’aria e alla luce è permesso di attraversare la villa senza ostacoli, l’arredamento è sobrio e spoglio. Viene facile immaginare la quiete della vita in quelle stanze, lo scorrere del tempo attraverso le stagioni miti e il profumo dei fiori.

Le quasi cinquecento pagine del libro portano a un epilogo amaro, ma predetto: Axel Munthe in vecchiaia rimane afflitto da una terribile malattia agli occhi, e la luce intensa che filtra dalle finestre di Villa San Michele gli procura un fastidio insopportabile. Così deve andare via dal luogo che gli ha donato tanta gioia. Ultranovantenne, muore a Stoccolma nel 1949,  lasciando la villa allo Stato svedese. Oggi la proprietà è di una fondazione svedese che l’ha trasformata in un museo.

Il consiglio è di visitare l’isola in uno dei mesi in cui è meno affollata, comprare La storia di San Michele in una delle librerie di Capri, e lasciarsi coinvolgere dalle storie incredibili che vi sono raccontate; in un giorno di sole visitare la casa, consapevoli che si tratta di un luogo magico, fissato nel tempo e nell’anima del suo creatore, Axel Munthe, lo stregone di Anacapri.

«La mia casa sarà aperta al vento e alle voci del mare – come un tempio greco – e luce, luce, luce ovunque».

Pubblicato da Silvia Valli

Nata a Milano nel 1993, si laurea in Filosofia alla Sapienza Università di Roma; prosegue gli studi specializzandosi in Editoria con una tesi sulle collane filosofiche curate da Croce e Gentile per la casa editrice Laterza. Ama leggere e fare gite in montagna; il suo luogo dell'anima è un paesino sperduto in Valle d'Aosta.

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