Ci sono Michael e Diego, che hanno ancora gli zaini di scuola. Hanno in mano la merenda, ma sembrano più interessati al teatro dell’azione che si sta svolgendo davanti ai loro occhi. Ridono, sono euforici, fanno ciao ai poliziotti di Clerville. La mamma gli dice che dovrebbero tornare a casa a fare i compiti di grammatica, ma nemmeno lei è troppo convinta: spari e inseguimenti non capitano mica tutti i giorni.
Sono le cinque di pomeriggio di martedì 8 marzo e Bologna si è trasformata in Clerville, il luogo immaginario teatro delle gesta di Diabolik, protagonista dell’omonimo fumetto noir, creato nel 1962 da Angela e Luciana Giussani. Piazza dei Martiri è piena di auto d’epoca e di cartelloni pubblicitari anni ’60, ma soprattutto è circondata da curiosi venuti ad assistere al set cinematografico di Diabolik 2 e 3, prequel e sequel del fortunatissimo Diabolik dei Manetti Bros, uscito lo scorso dicembre nelle sale italiane, dopo due anni d’attesa causa pandemia mondiale.
C’è chi sbircia i movimenti della macchina da presa. C’è chi è fermo da ore in attesa di vedere l’attore principale, che non sarà più Luca Marinelli (assurdo ma vero, verrà rimpiazzato da un più che valido Giacomo Gianniotti – attore italo-canadese divenuto celebre con Grey’s Anatomy e c’è addirittura chi lo preferisce). C’è chi sta tornando dal lavoro e deve recarsi in centro, ma che trovando la strada sbarrata e sentendo brusche frenate non ha resistito al richiamo dell’azione.
Azione nel ciak, ma anche azione nella finzione, perché se Diabolik piace a grandi e piccini, lo si deve al fatto che le sorelle Giussani hanno saputo creare una leggenda da un gioco d’infanzia. Il noir colpisce. E non è un caso che la storia sia stata portata sul grande schermo da due fratelli: Antonio e Marco Manetti, aka Manetti Bros, che già con L’ispettore Coliandro avevano scelto Bologna come luogo prediletto per girare i loro lavori.

Ci troviamo di fronte a un set che sembra essere il paradiso di chi il cinema lo fa e di chi lo guarda. È un set in cui sono tutti felici. Felici di fare il loro lavoro.
Quando si pensa a un set, al cinema, alla settima arte, viene da pensare: «È tutto favoloso, anch’io sarei felice». Ma voglio vedere voi a gestire 90 comparse, il pubblico curioso, le automobili, i rumori esterni, gli imprevisti. Il lavoro sporco qui lo fanno i cosiddetti runner. Si parlano alla radio e dirigono il traffico. Dicono alle comparse quando e se possono passare.
Come la signora col cagnolino che, unica ignara del fatto che si stia girando un film, decide di far fare i bisogni al suo cucciolo nel parchetto al centro del set, e che ovviamente è entrata nell’inquadratura: «Signoraaaa staremmo girando!» «Oh scusate, me ne vado, me ne vado… ma Fru non poteva proprio aspettare». Dice lei fintamente offesa. Abbiamo attori su attori.
C’è un papà, che mostra al figlio la cinepresa: «Siamo su un set, Lollo! Qui si fa il cinema!». Penso che questo giorno, a Lollo, rimarrà impresso. E mi commuovo a immaginare che da questo set potrebbe nascere un futuro regista di successo, ricordandosi di quella volta in cui il padre lo portò a vedere come si fa il cinema, come nel recente capolavoro di Sorrentino È stata la mano di Dio – quando Fabietto si ritrova catapultato per la prima volta su un set cinematografico e da lì comprende il suo destino.
Ci sono ragazzi su ragazzi, ma anche anziani con in mano il cellulare, pronti a cogliere qualche momento topico della scena. Seguono le riprese, osservano la troupe, scattano selfie o fanno storie da mettere su Instagram. C’è addirittura un rider, che ha deciso di interrompere la sua corsa per assistere a qualche ciak. Insomma, è impossibile non restare lì a guardare la finzione che irrompe nella quotidianità.
Ma veniamo al sodo: stanno girando la scena dello scuolabus. Diabolik scappa via sulla sua Jaguar E-type nera ed è inseguito da alcune volanti della polizia di Clerville. Gli sono alle calcagna quand’ecco che da destra arriva uno scuolabus che taglia loro la strada e forse, dopo tutti questi spari, ci scappa anche il ferito. La polizia di Clerville l’ha perso, due agenti scendono dalla volante, imprecano e fanno scendere tutti i bambini, tra urla e schiamazzi. Una scena molto breve eppure impegnativa, che richiede una serie di ciak.
Diabolik così scompare e rimangono solo i poliziotti, che sono diventati le guest star. Tutti i bambini vogliono fare la foto con la polizia di Clerville che non può perdersi questo momento, e poi ci chiediamo perché gli sfugga Diabolik: perché erano impegnati a posare per i fan. Una scena che mi ha ricordato i vigili del fuoco a New York, considerati alla pari di star televisive.

Quando parlavo di set felice, lo facevo con cognizione di causa. Ho infatti avuto la fortuna, qualche settimana prima, di poter stare sul set, di prenderne parte, di bucare lo schermo… Insomma ho fatto letteralmente la mia comparsata.
È stata la mia amica Carolina a portarmi sul set. Veniva da Roma apposta e mi aveva chiesto appoggio a Bologna perché era stata chiamata a fare la comparsa e la convocazione alla Mompracem – la casa di produzione – era la mattina presto: ore 6.45. Sveglia alle 5.
Si sveglia lei, si sveglia il gatto, mi sveglio anch’io. Va a finire che l’accompagno direttamente in autostazione, dove ci sono gli uffici della Mompracem (e che riconosco essere anche il luogo in cui girano le scene in questura de L’ispettore Coliandro).
Facciamo la conoscenza di Ciro e di Valentina, rispettivamente l’assistente alla regia e la casting director, che mi permettono di restare a guardare. Dopo un tampone di routine, mi metto a osservare quello che succede davanti ai miei occhi: un via vai di persone che passano dalla zona costumi alla zona trucco e poi parrucco. D’improvviso subiscono una metamorfosi e diventano personaggi degli anni Sessanta. C’è un ragazzo, Luca, che interpreta un giornalista e mi basta vedere lui per capire che non sto sognando, sono personaggi in carne e ossa davanti ai miei occhi. Mi metto a parlare con un gruppo di signori fiorentini, che attendono di essere chiamati per la loro metamorfosi.
E qui viene il bello. Succede che una certa Rita non si è presentata alla convocazione, perciò manca una comparsa. La casting director si gira verso di me ed esclama: «Che problema c’è, la fai tu!». Di lì a pochi minuti, ho i capelli cotonati, l’ombretto celeste e una riga d’eyeliner stile Cleopatra.
Al parrucco vengo sistemata da Giulio e Aurora. Qualcuno mi offre un cornetto e non dico di no. L’atmosfera che si respira è qualcosa di inspiegabile. C’è fermento, ma niente di troppo concitato o pressante, si lavora come una squadra, si scherza, e c’è tutto il tempo di fare le cose fatte bene, tutto l’opposto di quello che ci racconta la serie Boris. Mi raccontano che il clima è questo perché, dopo due anni di fermo causa pandemia, ritornare a fare il proprio lavoro con passione era la cosa più attesa. Di fianco a me Luca – il capo acconciature – sistema i baffi di un poliziotto. Al trucco vengo accolta da Nicole e Alice. Ai costumi Alessandra, che fa in tempo a squadrarmi due secondi e già sa cosa è perfetto per me. L’ultima aggiustata prima di andare sul set me la dà Ginevra, la costumista.

Siamo pronti. Dalla catena di montaggio in autostazione, una navetta ci conduce sul set delle riprese, ovvero uno dei padiglioni fiera che è stato trasformato nell’aeroporto di Clerville. Qui effettivamente ci viene detto che scene gireremo e soprattutto con chi.
Monica Bellucci. Sì sì, ho capito bene. E infatti la vedo fare il suo ingresso in scena con un cappello a tesa larga che le copre il caschetto da maschiaccia, il cappotto color panna e gli stivali alti: signore e signori, ecco a voi Altea di Vallenberg, inseparabile compagna dell’ispettore Ginko.
Guardo Carolina, chiamata a fare l’assistente di Altea, le sorrido e bisbiglio: «Ma come ci siamo finite qua?». Non mi sembra vero di essere dentro a un film con Monica Bellucci diretta dai Manetti Bros. Marco sta alla macchina da presa e dice quando partire, mentre Antonio regge la steadycam e inquadra i movimenti da vicino. «PARTITO!!!» Urla Marco. Giriamo qualche ciak.
Pausa pranzo. Momento conviviale dove chiacchieriamo con le altre comparse: Caterina, Matteo, Francesco, Carmen, Letizia. Vengono da zone limitrofe come Cento (FE), o Forlì, ma anche San Benedetto del Tronto (AP), Firenze, Roma.
Poi, arriva, come se nulla fosse, Valerio Mastandrea, già nelle vesti di Ginko. Facciamo qualche foto, scambiamo due parole, come se fosse una cosa normale, come se ci conoscessimo da una vita.
Mentre addento un panzerotto, qualcuno arriva e mi sistema i capelli. Mentre scambio due chiacchiere con una comparsa, qualcuno mi sistema i capelli. Mentre aspetto un ciak, qualcuno mi sistema i capelli.
Mi sento una diva, una star, una protagonista. Mi hanno anche messo lo smalto – cosa per me sconosciuta – e mi chiedo che bisogno ci sia di mettere lo smalto a una comparsa, dopotutto mica mi inquadrano le mani, e invece i dettagli sono importanti, come i guanti per la scena esterna, gli occhiali, il cappello, gli orecchini.
Faccio amicizia con Miguel, il mio compagno per la scena del pomeriggio. Scopriamo di abitare vicini. Ma già la troupe ci riporta sull’attenti. Si ricomincia a girare.
Motore – Partito! – Azione.