“Le otto montagne”: l’irrimediabile conflitto tra partire e restare

C’erano una volta due bambini così diversi eppure così uguali. Potrebbe essere questo l’inizio della storia, una favola antica ambientata tra le vette, eppure così moderna nel cogliere il costante conflitto tra restare e partire, tra farsi bastare una vita confinata nel posto dove si è nati e il desiderio pulsante di andare alla ricerca, con la paura sempre latente di perdere, forse irrimediabilmente, il luogo che chiamavamo casa e le persone che sono rimaste lì.

Le Otto Montagne, scritto e diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, è l’adattamento dell’omonimo romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti (edito da Einaudi), un racconto asciutto e potente, la storia di un’amicizia diventata la bussola di una vita intera, perché ha piantato le sue radici nei recessi più profondi dell’anima.

Se la regia sa immortalare, attraverso il formato 4:3 e l’alternanza di campi larghissimi con spietati primi piani, l’imponenza delle montagne e l’emotività dei personaggi, gli attori Alessandro Borghi e Luca Marinelli sono sublimi nel mantenere un legame fatto di sguardi calamita, piccoli gesti, lunghi silenzi e poche parole sempre in grado di colpire a fondo.

Bruno è l’unico bambino di una minuscola frazione di montagna, vive con gli zii e trascorre le sue giornate tra vacche e fango. È un ragazzino a prima vista brusco e diretto, ma a suo modo anche dolce, capace di un affetto duro. Pietro è un bambino di città, iper protetto dai genitori, riservato, abituato a guardare il mondo dalla finestra più che a sporcarsi le mani. Quando i genitori di Pietro affittano un appartamento nella frazione dove vive Bruno per l’estate, i due bambini trovano presto un linguaggio comune e il loro incontro diventerà la base dell’amicizia più inaspettata e autentica, un rapporto che supererà, nel corso degli anni, le amarezze, i lutti e le distanze, anche quando sembreranno insormontabili.

La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.

Mi dissi che forse quest’altro padre l’avevo avuto sempre lì e non me n’ero mai accorto, per quanto era ingombrante il primo.

Pietro, da bambino schivo, diventerà un ragazzo insofferente, incapace di separarsi dai suoi silenzi e di aggredire il mondo come vorrebbe, come Bruno, a suo modo, è stato sempre capace di fare. E Bruno infatti, una volta sfumata la possibilità di crescere con la famiglia di Pietro in città a causa di un padre ostile, trova il suo posto tra le vette che lo hanno cresciuto, dove sembra felice e continua negli anni a passeggiare con il padre di Pietro, anche quando Pietro in montagna si rifiuta di tornare.

Sarà proprio la morte del padre di Pietro a riunire i due ragazzi, che si ritroveranno a costruire insieme una baita, per mantenere una promessa. Sempre presente è infatti la riflessione sull’eredità paterna con la quale un figlio si ritrova ineluttabilmente a fare i conti e sul conflitto tra la necessità  di seguirla e quella di cercare il proprio destino.

I due ritroveranno presto l’intesa di quando erano bambini, ma ora l’età adulta li mette di fronte a responsabilità diverse. Bruno prova ad aprire un’azienda, incontra una donna tramite Pietro, la sposa e hanno una bambina. Pietro invece inizia ad esplorare le montagne del Nepal: torna, parte, ritorna, riparte. Mentre Bruno sembra aver trovato il suo posto nel mondo, o meglio aver trovato il senso della propria vita all’interno di un luogo che era sempre stato suo, Pietro continua a vagare, irrequieto, infelice.

Stavo imparando che cosa succede a uno che va via: che gli altri continuano a vivere senza di lui.

Ma la felicità è un’illusione soltanto, una condizione impossibile da mantenere e spesso, i luoghi che ce la donano, sono gli stessi che poi ce ne privano, in un equilibrio instabile difficilissimo da mantenere. Così, quella tanto amata montagna, diventa per Bruno ossessione e prigione. Il fallimento della piccola azienda che gestiva con la moglie e il rifiuto totale di adattarsi a qualsiasi altro lavoro e a scendere dalle vette provocano la crisi del suo matrimonio: lei se ne va con la bambina, Pietro è dall’altra parte del mondo e Bruno è solo, ancora una volta, con la montagna.

Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cosa che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.

Ora che Pietro sta iniziando a trovare una sua dimensione nel suo continuo andirivieni, che sta iniziando a pubblicare con un piccolo editore, che si sta, forse, persino, innamorando in Nepal, Bruno è invece completamente perso, e su quelle vette si perderà per sempre lasciandosi seppellire dalla neve. E allora chi ha imparato di più? Chi ha vagato per le otto montagne o chi è rimasto sul picco al centro del mondo, senza scenderne mai? Impossibile stabilirlo, perché impossibile è capire il senso di un’esistenza mentre la si vive. Certo è che, questa moderna favola antica, è un inno all’importanza dei legami e delle relazioni umane, l’unico modo per non perdersi in un mondo che è inevitabilmente troppo grande per noi.

Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare per le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico

Immagini tratte dal sito ufficiale “Vision Distribution”.

Pubblicato da Isabella Delle Monache

Isabella Delle Monache, classe 1994, nata a Città della Pieve, cresciuta a Latina, attualmente vive a Roma. Si laurea in Lingue e Civiltà Orientali all'Università La Sapienza e si diploma in recitazione presso la scuola Teatro Azione, prendendo poi parte come attrice a diverse produzioni cinematografiche. Dopo essere stata ammessa alla Scuola di Sceneggiatura dell'ANAC “Leo Benvenuti”, si appassiona enormemente al racconto cinematografico e attualmente frequenta il Master in Drammaturgia e Sceneggiatura dell’Accademia d'Arte Drammatica Silvio d'Amico. Scrive da sempre poesie e racconti. Ha viaggiato tanto e tutto ciò che ha visto o anche solo immaginato nei diversi luoghi del mondo continua a ronzarle in testa finché non trova forma nelle sue parole.

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