L’amore per il giardino e la sua cura hanno da sempre contraddistinto la cultura inglese, rivestendo un ruolo pregnante sia nella poetica sia nelle tradizioni nazionaliste del Regno Unito. Assurto a vera e propria forma d’arte nel diciottesimo secolo, il giardinaggio, assimilato alla pittura, alla scultura, all’architettura e alla letteratura, nel tempo ha rivestito un forte valore patriottico. Sin da Shakespeare e dal suo Riccardo II, l’Inghilterra è stata paragonata a un giardino, la figura del monarca al suo giardiniere, e la stessa monarchia associata alla terra, agli elementi e inevitabili accadimenti della natura.
Negli scritti poetici della “Signora del giardino”, come veniva chiamata Vita Sackville-West, considerata tra i romanzieri di maggior successo negli anni Trenta e Quaranta, il giardino e l’arte che lo accompagna divengono riflessione sulla propria identità, su un senso di appartenenza, sull’alternarsi dei sentimenti dell’animo umano, baluardo di bellezza, civiltà e grazia contro i tormenti di un mondo incivile e brutale. Nella sua poesia, l’ambiente del giardino, delle fioriture, delle coltivazioni, dell’alternanza delle stagioni, sono aspirazione al bello, alla perfezione, a un ordine celato, alla pace:
I tried to hold the courage of my ways
In that which may endure,
daring to find a world in a lost world,
a little world, a little perfect world,
with owlet vision in a blinding time,
and wrote and thought and spoke
these lines, these modest lines, almost demure,
what time the corn still stood in sheaves
what time the oak
renewed the million dapple of her leaves.
Yet shall the garden with the state of war
Aptly contrast, a miniature endeavour
To hold the graces and the courtesies
Against a horrid wilderness. The civil
Ever opposed the rude, as centuries’
Slow progress laboured forward, then the check,
the slow uphill climb again, the slide
back to the pit, the climb out of the pit,
advance, relapse, advance, relapse, advance,
regular as the measure of a dance;
so does the gardener in little way
maintain the bastion of his opposition
and by a symbol keep civility;
so does the brave man strive
to keep enjoyment in his breast alive
when all is dark and even in the heart
of beauty feeds the pallid worm of death.
Al giardino e al giardinaggio Vita Sackville-West ha dedicato la sua vita e molto della sua composizione artistica, dapprima con il poema The Land (1926), liberamente ispirato alle Georgiche di Virgilio, poi con The Garden (1946). L’amore per le piante, alberi o semplici cespugli, bulbose o perenni e l’attenzione a combinare assieme forme e colori divennero l’anima del suo lavoro di cui scrisse ampiamente per ben quindici anni, dal 1946 al 1961, nella sua rubrica In Your Garden sull’Oberserver. Una ricerca intima, un’urgenza disperata di grazia lussureggiante, di rifugio da una civiltà contaminata, hanno segnato quasi interamente la sua vita come la sua attività letteraria. Persino nei suoi tanti viaggi al seguito del marito, il diplomatico Harold Nicolson, Vita ha sempre anelato a una bellezza che la facesse sentire viva, una naturale esuberanza che ben si accordasse con il suo spirito sfuggente:
«Da quando sono arrivata in Persia sono alla ricerca di un giardino e non ne ho ancora trovato uno. Eppure i giardini persiani godono di un’ottima reputazione. Hafiz e Sa’di cantarono spesso le rose, forse anche fino alla noia. Eppure nella lingua persiana non esiste una parola per dire rosa: il meglio che abbiano prodotto è “fiore rosso”. È come se da qualche parte fosse sorto un malinteso. Di fatto penso che il malinteso sia nostro, scaturito dalla caratteristica nazionale degli inglesi secondo cui pretendiamo che tutto sia uguale a com’è in Inghilterra, anche in Asia centrale, e quando questo non si verifica ci lamentiamo. “Giardino?” diciamo e pensiamo ai prati all’inglese e alle aiuole fiorite, il che è palesemente assurdo. In questo arido paese non esistono distese erbose; quanto alle aiuole fiorite, presuppongono una lussureggiante bellezza formale inimmaginabile per la mentalità persiana. Qui ogni cosa è arida, disordinata, fatiscente e decadente: una miseria polverosa esposta per otto mesi all’anno a un sole impietoso. Malgrado tutto ciò, in Persia esistono dei giardini. Solo che sono giardini con alberi, non fiori; spazi incolti e verdi (…) un rifugio verde pieno d’ombra, con pozze in cui saettano pesci rossi e dove scroscia un piccolo ruscello. Questo è il senso di un giardino in Persia. (…) Anche il senso di proprietà è fortunatamente assente. Immagino che questo giardino (in cui mi trovo ora e da dove sto scrivendo) abbia un proprietario, ma personalmente non so chi sia, e nessuno sa dirmelo. Nessuno mi si avvicinerà per dirmi che sto violando la sua proprietà. A volte capita che il giardino sia tutto mio, oppure che lo divida con un mendicante o ancora che entri un pastore col suo gregge (..) sono tutti egualmente liberi di entrare e di godersi il giardino».
Con toni sommessi e realistici, meno progressisti rispetto alle avanguardie di inizio secolo, Vita descrive i “piccoli piaceri che emendano grandi tragedie”, attraverso i semplici accadimenti quotidiani e i più grandi sconvolgimenti interiori, tra le gioie e il sollievo che la natura e la ricerca del bello possono offrire. Nei suoi scritti giardinaggio e poesia si confondono, si identificano, rispecchiandosi nella continua ricerca di una cosa finalmente giusta, finalmente perfetta:
Unlike the husbandman who sets the field
And knows his reckoned crop will come to birth
Varying but a little in its yield
After the necessary months ensealed
Within the good the generative earth,
The gardener half artist must depend
On that slight chance, that touch beyond control
Which all his paper planning will transcend;
He knows his means but cannot rule his end;
He makes the body: who supplies the soul?
Sometimes, as poet feels his pencil held,
Sculptor his chisel cutting effortless,
Painter his brush behind his grasp impelled,
Unerring guidance, theory excelled,
When rare Perfection gives a rounded Yes,
So does some magic in his humbler sphere,
Some trick of Nature, slant of curious light,
Some grouped proportion, splendid or severe
In feast of Summer or the Winter sere,
Show the designer one thing wholly right.

Al centro della sua poesia, che lei poneva al di sopra di tutti i suoi scritti, sono proprio le banali occupazioni svolte nei poderi e nei giardini a fare da sfondo a un linguaggio universale, quello della passione che si fonde irrimediabilmente con gli elementi della natura. Così nella poetica di Vita il mondo naturale e l’amore si intrecciano indissolubilmente; le passeggiate nei campi fioriti sfociano in notti “intossicanti” dove la passione ha la meglio e il bisogno dell’amata diventa una sorta di ossessione:
When sometimes I stroll in silence, with you
Through great floral meadows of open country
I listen to your chatter, and give thanks to the gods
For the honest friendship, which made you my companion
But in the heavy fragrance of intoxicating night
I search on your lip for a madder caress
I tear secrets from your yielding flesh
Giving thanks to the fate which made you my mistress.
La natura diviene quindi luogo di ebbrezza, intossicazione, amore passionale e incensurato. Con una delicatezza del tutto inglese, Vita riesce a intrecciare gli accadimenti prosaici e solidi di una vita in campagna con la foga di un animo ribelle, volitivo e romantico come il suo.
Perennemente innamorata della vita, così come delle donne, Vita Sackville-West si distingue per quella sua natura trasgressiva, la vita eterodossa e avventurosa. Autrice di ben 17 romanzi, quasi tutti pubblicati dalla Hoghart Press di proprietà dei coniugi Woolf, Vita Sackville-West si fa portavoce di una radicata identità inglese e di un forte animo femminista, ponendo al centro delle sue opere donne intraprendenti che cercano di realizzare il controllo sulla propria vita. Vita fu per tutta la sua esistenza una femminista ante litteram, ricercando senza remore il proprio piacere (sessuale e non) e la propria libertà, senza censure e rimorsi, incurante di ogni cosa, forte del suo retaggio aristocratico e della sua elevata educazione classica.
Legata al marito da un profondo rapporto di stima e di amicizia, se non di amore, al contempo amante opulenta di molte, moltissime donne, tra cui Violet Trefusis e Virginia Woolf, Vita è una donna moderna, indipendente e apparentemente fin troppo solida. Vitale, pratica e volitiva, dalla penna semplice, affascinata dalle cose quotidiane, dal fluire delle stagioni, dalle fioriture, dai cavalli e dalla passione ardente, priva di orpelli, artifizi e intellettualismi .

Vita si abbandona da tempo senza pruderie a una libertà sessuale di cui coglie appieno il piacere, muovendosi indifferentemente dal letto di un uomo a quello di una donna. Vita è una donna libera che distingue tra due tipi di amore, quello casto, coniugale, e quello passionale. Diversa invece fu la sua amante Virginia, sessualmente impaurita e insicura, incapace di godere appieno dell’ardimento che il corpo e il piacere sessuale possono fornire. In tempi in cui lo scambio amoroso tra due donne era ancora da considerarsi segno di eversione, di devianza, le due scrittrici si distinguono per quello scrivere che, ben oltre la mera speculazione, dà voce a una passione solo apparentemente saffica, vera indagine poetica sul potere della seduzione. Nei quindici anni della loro storia, Vita e Virginia vivranno nella lussuria incandescente, nelle pieghe inviolabili di un piacere umbratile, di una gioia soffusa quanto incendiaria, facendo della parola il loro luogo di incontro prediletto, il loro talamo sacro. «Per favore, in mezzo a tutta questa baraonda, continua a essere una stella luminosa e costante. Davvero poche cose rimangono a indicare la strada: la poesia, e tu, e la solitudine», scriverà Vita a Virginia.

Mentre Virginia si mantiene su toni più imbrigliati, più letterari, più rarefatti, Vita si distingue per una poesia sincera, priva di accentuata profondità o innovazione formale che vagheggia forme di escapismo quotidiane nate dai momenti più fortuiti e dai piaceri più impensati, scaturiti dalla natura e dai suoi elementi. Pur traendo forza dalla tranquilla trasparenza della vita di campagna inglese, dai suoi elementi più prosaici, i suoi scritti emanano un’energia emotiva e una sensibilità che rendono Vita non solo un’esteta, ma anche una poetessa appassionata:
«Oggi sono di nuovo piuttosto solida, con gli stivali pieni di fango, che mi tengono a terra. Ma non sono solida come sempre – non abbastanza rozza – perché per tutto il tempo in fondo alla mente mi è rimasto (a sollevarmi leggermente la testa) un bagliore, una sorta di nebulosa, che solo quando la esamino prende forma; appena penso a qualcos’altro si dissolve di nuovo, prenderla tra le mani e sentirne i contorni: allora si solidifica, “sabato viene Virginia” Questa sera vado a cena a Knole, dove incontrerò un magnate del petrolio e sua moglie; ma per tutto il tempo ci sarà un fuoco fatuo che si lascia afferrare, “sabato viene Virginia”. Ma no, non verrà, non verrà! Succederà qualcosa. Sicuramente succederà qualcosa. Succede sempre qualcosa quando si desidera così ardentemente. Ti verrà la varicella, o a me gli orecchioni, o crollerà la casa sabato mattina. Nel frattempo tre mucche mi fissano da sopra lo steccato, stanno aspettando la torta. C’è una nebulosa anche nella loro mente, “Alle quattro avremo la torta”. E per loro, bestie fortunate, non succederà nulla. Mentre per me c’è l’intero ventaglio delle possibilità umane».
L’amore tra Virginia Woolf e Vita Sackville-West, le cui lettere, dal 1924 al 1941 sono state conservate e pubblicate, è un compendio di ardori e di sogni, segreti, intermittenze cifrate, ombre rifratte, intimità vagheggiate, spesso vissuto tra elementi concreti e solidi: descrizioni meticolose sui ranuncoli, sulle abitudini dei lombrichi, sulla mungitura del latte, sulla trasparenza delle foglie. Le fughe, le separazioni, le riappacificazioni sono materia poetica anche sotto le bombe, insieme ai panetti di burro dal sapore di rugiada, miele e paté, uova in camicia e spasmi d’ardore. Così scrive Vita a Virginia, in una corrispondenza fulgida e virginea al contempo che ripercorre la propria genesi, ne assapora il pudore, ne richiama il desiderio segreto, la passione ormai nostalgica:
«Tesoro, quanto mi ha commossa la tua lettera stamattina. Mi è quasi caduta una lacrima dentro l’uovo in camicia. Le tue rare dimostrazioni d’affetto hanno sempre avuto il potere di emozionarmi moltissimo e – siccome suppongo che in questi giorni siamo tutti un po’ tesi (più che altro inconsciamente) – oggi mi arrivano in picchiata, dritte al cuore, come un proiettile che sbatte sul tetto. Ti amo anch’io. Lo sai».
Le due scrivono, scrivono sempre, per darsi appuntamento, per scusarsi di un’assenza e rimproverarsi di una mancanza, un ritardo o un rinvio, ma più di tutto per il piacere stesso di scrivere, di indulgere nell’amore della lingua, nei sottintesi e nelle allusioni letterarie, nelle maschere giocose e nei soprannomi fantasiosi, nei silenzi pudichi e nelle metafore più ardite che inventano, danno corpo e fiato alle loro emozioni voraci:
«Sono ridotta a una cosa che desidera Virginia. Stanotte avevo composto per te una lettera bellissima, nelle ore insonni, piene di incubi, ma è tutta sparita: mi manchi e basta, in un modo piuttosto semplice, disperato, umano. Tu con tutte le tue lettere intelligenti, non scriveresti mai una frase così elementare; probabilmente non la concepiresti nemmeno in questi termini. Eppure credo che sentirai un piccolo vuoto. Ma lo apparecchieresti in una frase così bella, che finirebbe per perdere un po’ della sua verità. Mentre per me è totale: mi manchi più di quanto potessi credere; ed ero preparata a sentire la tua mancanza, parecchio. Così, in verità, questa lettera è solo un grido di dolore. È incredibile quanto tu sia diventata essenziale per me. Immagino che tu sia abituata a sentirti dire cose del genere dalle persone. Maledetta te, creatura viziata. Non riuscirò a farmi amare di più da te, scoprendomi fino a questo punto – ma tesoro mio, non posso essere furba e distaccata con te: ti amo troppo per farlo. Troppo sinceramente. Tu non hai idea di quanto posso essere scostante con le persone che non amo. Ne ho fatto un’arte sottile. Ma tu hai fatto a pezzi le mie difese».
La ricerca di libertà, di indipendenza, di affermazione di sé stessa rendono Vita irrequieta, volatile quanto inafferrabile, infiammata da una sola passione a cui sola rispondere, a cui sola appartenere, l’unica capace di placare la sua anima, in cui si riconosce pienamente: la passione per la sua terra, l’Inghilterra.
Thus I do love my England, though I roam.
Thus do I love my England: I am hers.
What could be said more simply? As a lover
Says of his mistress, I am hers, she mine,
So do I say of England:I do love her.
She is my shape: her shape my very shape.
Her present is my grief; her past, my past.
Often I rage, resent her moderate cast,
Yet she is mine, I hers, without escape.
The cord of birth annexes me for ever.
And so when long and idle winter dusk
Forces me into lamplight, I must make
Impracticable beauty for my England.
Ed è lì che Vita riposa, lì che trova finalmente rifugio alla sua tanto bramata solitudine, nella terra inglese, alla quale soltanto consacrerà sé stessa per sempre. Solo ad essa Vita rimarrà fedele, sublimando questa sua aspirazione a un regno ideale di bellezza e ordine, cui il suo cuore scomposto ambisce, nel tentativo di dare forma e trama a un sogno ormai frustrato. È così che nel 1930, dopo aver già dedicato anni, insieme al marito Harold, al giardino di Long Barn, Vita si invaghisce, al punto da rimanerne ossessionata, dell’antico castello di Sissinghurst, un’alta torre medievale nel Kent, il cui progetto di ristrutturazione insieme alla realizzazione del suo giardino, diventerà per lei una sorta di missione, la possibilità infine di realizzare quel suo piccolo regno tanto agognato. Un castello occultato dal tempo, una dimora in disuso e dimenticata diventeranno, grazie a Vita e alla sua arte, il giardino più famoso d’Inghilterra, patrimonio del National Trust.

Fu lì che Vita riversò tutta la sua passione, per il vivere liberi, per le donne, per i viaggi. Lì manifestò appieno la sua tempra artistica di poetessa e, ancor prima, quella di giardiniere, sublimando il suo amore per quella sua terra nella creazione di qualcosa di etereo: un susseguirsi di stanze dalla diversa fioritura, varie nel colore e geometria, un micro-cosmo di pura armonia, un’ode al potere dell’arte che soli avrebbero soddisfatto il suo animo insaziabile.
In quell’anelito alto, tra le ombre tappezzate di muschio e di lichene, immersa nelle volute del tempo, Vita finalmente trova un ristoro a ogni sua passione ormai logora e spenta:
A tired swimmer in the waves of time
I throw my hands up: let the surface close:
Sink down through centuries to another clime,
and buried find the castle and the rose.
Buried in time and sleep,
so drowsy, overgrown,
that here the moss is green upon the stone,
and lichen stains the keep.