L’importanza del bar della colazione

I romani (o forse gli italiani) sono molto infantilmente capricciosi al bar.

Patrizia Cavalli, Con i passi giapponesi

Io, che vengo da una città dove ci sono più bar che panetterie, vi posso assicurare che niente eguaglia quello spazio – povero o ricco che sia – voluto dal misconosciuto dio del Caso.

Goliarda Sapienza, Elogio del bar

È stato grazie a Patrizia Cavalli che ho capito di non essere un caso isolato, ma di avere un cruccio che affligge più persone: la necessità di trovare il bar dove bere un cappuccino o sorseggiare un caffè perfetto.

Il mio capriccio riguarda più che altro la colazione, momento per me fondamentale, essendo quell’interludio di illusione tra la notte e il giorno in cui mi permetto il lusso dell’immaginazione prima di venire risucchiata dal vortice degli impegni e dei problemi che scandiscono il ritmo delle mie giornate.

Trattandosi di una questione seria, e non avendo ancora trovato il bar per la colazione a Napoli, è come se non mi fossi ancora ben incastrata nelle strade di questa città, come se non fossi ancora riuscita a ritagliarmi la mia sporca pezza di quiete e pretesa serenità.

Individuare un bar in cui la combinazione cappuccino-cornetto-luogo-costi sia in grado di soddisfare questo bisogno di esistenza, di senso di appartenenza al luogo che si abita, non è cosa semplice: c’è il bar che si trova nel posto ideale, ma dove i cornetti non sono granché, quello che è geograficamente scomodo, ma dove la colazione è buonissima, quello che costa troppo (e nelle cose che costano troppo non mi sento mai a casa); quello troppo bianco e con il bancone troppo lucido, quello dove il tavolo e la sedia non sono comodi per leggere, quello in cui tavoli e sedie non ci sono nemmeno, quello che sta troppo a ridosso della strada, dove «le macchine scorrono pazze portandosi tutto via come un fiume in piena di morte, uccidendo il profumo di verde e il silenzio», quello in cui ci sono troppe persone che si susseguono e non è possibile sostare le ore, quello nei confronti del quale semplicemente non è scattata la scintilla dell’innamoramento.

Poi c’è il bar del tribunale, luogo in cui trascorro quasi tutte le mie mattinate, e dove ho potuto finalmente provare il «vedersi comparire davanti sul bancone quel che si vuole senza neanche aprire bocca» e il poter «sorseggiare da quella tazza o da quel bicchiere la certezza fiabesca di esistere». Il barista, infatti, come scrive Cavalli: «è spesso non solo un santo ma un genio mnemonico», capace di dare vita, con la formula magica “il solito?”, all’avventore del bar, essere quasi sempre inconsistente prima del caffè mattutino.

Nemmeno il bar del tribunale – nonostante sia riuscita ad affermare il mio esistere tramite il gusto del caffè ormai noto (normale senza zucchero) – mi ha però conquistata: le colazioni migliori sono quelle che non hanno una fine prestabilita, che possono durare anche due o tre ore, e il bar del tribunale non è predisposto a questo tipo di rituale che desidererei quotidiano.

Il bar della colazione è un luogo in cui fare colazione prima di andare al lavoro, dove è possibile trascorrere le ore perdendosi nelle tazze di cappuccino tra mille letture e conversazioni o fare la seconda colazione dopo la prima fatta a casa (le seconde sono tendenzialmente le colazioni migliori).

Come scriveva Goliarda Sapienza, «il mattino è proprio bello quando si può ciondolare intorno a un caffè e due sigarette» e nel bar della colazione deve essere possibile anche questo pigro dondolare.

La differenza tra le colazioni a casa (che pure amo) e quelle al bar è che mentre le prime costituiscono momenti di piacere esistenziale intimo e silenzioso, è nella dimensione collettiva del bar che è possibile sentire di appartenere al luogo nel quale si vive, alla comunità che anima quel quartiere, quella data città.

Quando faccio colazione a casa mi piace leggere o ascoltare la radio, alle chiacchiere preferisco il silenzio, perché è il momento della giornata durante il quale sto con me stessa dopo la notte trascorsa e prima che il giorno mi travolga. Al bar, invece, ci si appropria di sé stessi tramite l’interazione con le altre persone, tramite l’incontro o lo scontro, ci si connette con il mondo amalgamandosi con il tintinnio dei piattini sbattuti sul bancone e il fischio aspro del vapore della macchinetta del caffè.

In entrambi i luoghi, posso soddisfare il «mio passatempo preferito: scrivere sciocchezze insensate», come questo breve pezzo, scritto sorseggiando tazze di caffelatte bollente seduta alla scrivania in una domenica mattina di autunno inoltrato in cui c’è talmente tanta gente in giro che la strada sotto casa è regolata dal senso unico pedonale.

E il problema di non avere ancora trovato il mio bar della colazione è che se provassi ad uscire di casa ora mi perderei in mezzo alla folla e sotto il battere incessante delle gocce di pioggia che da settimane non lascia tregua, perché non saprei dove andare per stare un po’ con me stessa e sentirmi parte di questa città.

Illustrazioni di sradicare

Pubblicato da francescabonassi

Nata a Brescia nel 1995. Si laurea in Giurisprudenza a Bologna e, durante gli studi, soggiorna per qualche mese a Coimbra. Ora vive a Napoli, dove sta svolgendo la pratica forense.

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