Questa storia, la storia di Libera e il signor Lavoro, riguarda tutti ma proprio tutti e comincia molto presto, nell’ età di cui avremo per sempre nostalgia: l’infanzia.
Non si ha il tempo di iniziare ad esplorare il mondo né di lasciarsi travolgere dalla sua meraviglia che subito un adulto ha già pronta la domanda: «Cosa vuoi fare da grande?».
Qualcuno, non si sa bene perché, forse perché se l’aspettava che prima o poi sarebbe arrivata, ha già collezionato una serie di risposte molto convincenti: «Il meccanico! Il Papa! Il Presidente degli Stati Uniti». E allora chi si sente dare questa risposta, deluso, è pronto a controbattere: «Ma tutte queste cose insieme?».
Sì, tutte insieme. Il desiderio della molteplicità appartiene all’infanzia, poi però tende a sgretolarsi e a perdersi identificandosi nella singolarità. L’adulto allora non lo comprende più.
Qualcun altro invece, di fronte a questo interrogativo, è indispettito. Magari può capitare che mentre è costretto a rispondere a una domanda tanto impegnativa, si trovi già indaffarato nel montare un modellino piuttosto difficile della Lego. E così, tutto quello che dirà, giusto per accontentare il suo interlocutore e non risultare maleducato, sarà: «Il coatto sì, da grande voglio fare il coatto».
Eh sì, ha proprio detto così Mattia. L’ho sentito con le mie orecchie pronunciare queste parole mentre io stessa gli rivolgevo questa domanda convinta che fosse quella giusta. Avevo bisogno di leggere Libera e il signor Lavoro, storia scritta da Flavia Fazi, illustrata da Erica Silvestri e pubblicata da Momo edizioni, per accorgermi che non era esattamente così.

L’autrice di questa meravigliosa storia avventurosa ha il dono della leggerezza. Sì, proprio la leggerezza pensosa di cui parla Italo Calvino nella prima delle sue Lezioni americane. Come si esercita la leggerezza nella scrittura? Attraverso una sottrazione di peso. È stato questo il grande sforzo che ha tenuto impegnato lo scrittore per una vita intera. Per argomentare e sostenere il valore della leggerezza, Calvino ricorre a diversi esempi letterari, tra cui il Decameron di Boccaccio e in particolare la Novella VI, in cui il poeta Cavalcanti è descritto mentre è intento a saltare.
Calvino, commentando questo passaggio, scrive: «L’agile salto improvviso del poeta – filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite».
Questa contrapposizione, ben evidenziata da Calvino, tra il salto leggero di Cavalcanti pieno di vita e la pesantezza di un mondo rombante e rumoroso, ritorna anche in queste pagine, di cui la protagonista assoluta è Libera, una bambina curiosa con gli occhioni grandi e i capelli color castagna.
La scuola è appena finita e Libera è pronta ad essere libera per davvero. Le domande che le ronzano in testa però la accompagnano anche durante le vacanze estive, tra queste ce ne sono alcune particolarmente difficili da scacciare via, perché sempre sotto i suoi occhi: Cosa vuole da noi il Signor Lavoro? Chi è questo antipatico che si permette di rendere tutti così nervosi e stanchi?
Proprio quando Libera è impegnata a riflettere su che senso abbia dare retta ancora a questo strano Signore, le domande degli adulti la travolgono, anzi travolgono Felice, il cugino più grande di lei, seduto al tavolo di famiglia, incalzato da Zia Grazia a scegliere al più presto una vita professionale come si deve. Come se la pesantezza di Zia Grazia non fosse abbastanza, al dibattito si aggiunge Zio Giocondo. La sua domanda però è più complicata, più sofisticata. Zio Giocondo non si accontenta di sapere se i bambini davanti a lui saranno medici o avvocati. Lui vuole sapere di più: «Sentiamo un po’ se avete capito quale sarà il vostro posto nel mondo».
La risposta di Felice a quel punto è geniale.
«In che senso un posto nel mondo, zio? Io voglio girarlo tutto il mondo».
Ecco che Felice, esattamente come Perseo taglia la testa alla Medusa, sconfiggendone la pesantezza, toglie le parole di bocca a Zio Giocondo, che scoppia in una chiassosa risata, che in realtà nasconde un certo imbarazzo. Mica se l’aspettava Zio Giocondo una risposta così! Ma ecco che la sua pesantezza torna a farsi sentire. Eh no! Il Signor Lavoro non è ancora stato vinto! Per fortuna ci pensa Nonno Giusto a ristabilire le regole e a zittire gli adulti e a incoraggiare i nipoti a dare l’acqua ai propri sogni, perché altrimenti, proprio come le piantine, non crescono più.

Libera, Felice e Fortunato ricordano, per la loro leggerezza contrapposta al mondo degli adulti, i bambini dell’incantevole film di Truffaut Gli anni in tasca, che però in francese ha tutt’altro titolo: L’argent de poche, che è il termine che viene usato per indicare la paghetta. Mi sono sempre chiesta perché in questa traduzione i soldi siano diventati il tempo. A pensarci bene, non è quello che succede con il lavoro? Vengono barattati gli anni in cambio di soldi. Ma si può davvero parlare dei soldi a dei bambini? Incoraggiarli a scegliere un mestiere piuttosto che un altro per i soldi?
Libera è convinta di no. Dopotutto Nonno Giusto gliel’ha spiegato chiaramente: «Perché sai, essere libera, e essere libero, non sono solo parole: la libertà è una conquista».

L’immagine di copertina e le altre foto sono tratte dal film Gli anni in tasca di Truffaut.