Camminata della pace: ripercorrere per costruire la memoria

Andiamo. Questo l’invito che ho ricevuto dal mio amico Francesco. 

Andare. Questa l’azione che spesso, inconsciamente, ognuno di noi compie. 

Probabilmente stavo camminando quel giorno di aprile in cui Francesco mi parlò per la prima volta della Camminata della pace. Organizzata dal Cai Bologna e dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) Monzuno, Peretola, Pistoia e altre realtà, la Camminata ripercorre due delle più grandi stragi del Nazifascismo in Italia: quella di Monte Sole e Sant’Anna di Stazzema. 

Ripercorrere non è un termine come un altro. Ripercorrere significa confronto, scoperta, ricerca. Ripercorrere è un’azione dinamica che non è mai uguale a se stessa nel corso del tempo. Si evolve. Così come si è evoluta la storia. 

Il nonno di Francesco, Eriberto, è uno degli ideatori di questa iniziativa. Modenese, ha vissuto su quei monti a cavallo dell’Appennino e ha contribuito a rendere la storia di quei territori fruibile a tutti, trasmettendo i valori della memoria a suo nipote Francesco e a molti altri giovani.

Ascoltandolo parlare di suo nonno e della nascita della Camminata della pace, non ho potuto fare a meno di pensare a mia volta a mio nonno, Libero Palmieri che da partigiano, seppur non sull’Appennino, ha contribuito alle lotte per la libertà. Mentre Francesco mi parlava dei giorni in cammino, iniziavo a immaginare i volti, i luoghi, i silenzi, le chiacchiere, i dubbi e tutte le altre sensazioni che sono parte del camminare. Volevo saperne di più di quella storia tra gli Appennini.  

Una mattina qualcuno bussò alla porta della casa in Olanda, dove da un anno ormai vivo con Francesco, consegnando un libro proprio a lui, speditogli dall’Italia da suo nonno Eriberto e sua nonna Laura. È così che è avvenuto un interessante incontro per me, quello con il testo di Simona Baldanzi: Corpo Appennino. In cammino da Monte Sole a Sant’Anna di Stazzema. 

Ho letto il libro in diversi momenti. Prima, aspettando che fosse Francesco a finirlo,  l’ho solo sfogliato posando i miei occhi su alcuni termini. Poi ho cominciato una lettura appassionata e umile, sempre in ascolto, cercando di carpire spunti che il testo potesse darmi per conoscere meglio quella storia che mio nonno Libero da partigiano, ha reso aperta e raccontabile a tutti, liberi, e che il nonno Eriberto ha poi tenuto viva donandola a suo nipote Francesco e a tutti quelli che vanno, vengono e camminano. E allora andiamo. 

In occasione della futura Camminata della pace che si terrà il prossimo agosto, ho avuto il piacere di intervistare Simona Baldanzi, autrice del testo citato. 

Il titolo del libro rimanda subito a una fisicità del racconto. Corpo Appennino. Immediatamente riporti la storia delle stragi del nazifascismo ai sensi dell’uomo. Ci spieghi questa scelta?

Spesso il titolo arriva alla fine, dopo aver raccontato l’intera storia. La Camminata della pace è una storia di fisicità. Si tratta, in fondo, di camminare, di riaccendere i sensi, di rapportarsi con dimensioni umane e animali. Ascoltando. Le fisicità che si incontrano e con cui ci si relaziona durante il cammino sono diverse. Ci sono tanti corpi in cammino. C’è il gruppo in cammino. C’è il corpo territorio che testimonia altri corpi sepolti. Nell’estate in cui ho ho partecipato alla Camminata c’era anche il mio corpo che dialogava con il resto. Camminare è confronto. 

La scelta della copertina del libro non è casuale. Abbiamo voluto inserire il disegno delle curve di livello per ricollegarci alla fisicità del corpo territorio, alla sua anatomia. Nel libro parlo spesso di anatomia delle stragi. È da lì che bisogna ripartire, dall’apertura dei processi per le stragi nazifasciste in Italia, i tribunali e la memoria. L’ anatomia delle stragi passa per l’ anatomia della mappa dei luoghi, c’è un costante rimando al territorio e, come avrai letto, anche all’orecchio. La Camminata è una questione di ascolto, di storie raccontate e tramandate per renderci conto di dove siamo. Dove ci posizioniamo? Cosa significa muovere un passo? Intendo proprio come atto politico. Interrogarsi sul nostro ruolo e la nostra posizione, questo significa camminare.

Nel libro citi questa frase di Lorenzo Guadagnucci: «I sopravvissuti erano custodi di una memoria insidiosa, pericolosa, si è cercato di addomesticarli». Che ruolo abbiamo noi, oggi, portatori di questa conoscenza?

Ti dicevo che camminare vuol dire muovere un passo. Come possiamo farlo? Come possiamo posizionarci? Durante la Camminata della Pace lo abbiamo fatto cantando tutti insieme all’arrivo nei paesi. Annunciandoci e creando confronto. Cosa significa farlo insieme? Ognuno si dà una risposta singola, ognuno si posiziona individualmente, ognuno si porta a casa, dalla Camminata, un piccolo insegnamento. Applicarlo e reimparare a condividerlo insieme significa muovere il primo passo. 

Nel racconto sottolinei la necessità di rapportarsi all’oggi, di non trasformare la storia in un mito. Che rapporto c’è fra memoria e icona? Come rendere la memoria fruibile e non solo astratta? 

Per fare questo ci sono vari passaggi. Bisogna osservare i cambiamenti del tempo. Nel libro si parla del cimitero germanico della Futa. Quando venne istituito ci furono grandi proteste da Marzabotto. Era intollerabile l’idea di seppellire lì, in quei territorio, il nemico. Ora quella rabbia non c’è più. I ragazzi tedeschi si uniscono a noi nella Camminata per conoscere e toccare con mano una storia che riguarda noi e loro. Come dice Lorenzo Guadagnucci, Monte Sole e Sant’Anna di Stazzema sono capitali morali. Quei luoghi devono essere fatti vivere non solo come musei e parchi ma come motore attivo e teatro di confronto con paesi stranieri.  

Quale è il rapporto fra l’idea di monumento, testimonianza e territorio?

Il contrasto è forte. Le persone più vicine in termini di età a quella storia, i protagonisti, stanno invecchiando. I testimoni e i racconti vivi spariranno. Abbiamo parlato di copro territorio proprio perché si deve avere un’idea di insieme. Fermandosi davanti alla lapide, non è solo un sasso quello che vediamo. È segno che quel luogo è stato teatro di atroci vicende, che sta cambiando, che cambierà. Sta a noi affinare ancora di più i sensi e stare in ascolto. Il territorio ha da parlare.

Ricorrenti sono i simboli – bandiere, chiodi, coperte termiche – che avete usato durante la Camminata. Come si relazionano le tradizioni di diversi popoli per creare memoria? 

È sempre una questione di confronto e tutto, anche i simboli, evolvono. Nell’estate in cui ho partecipato alla Camminata abbiamo usato coperte termiche e cartelli per denunciare le crisi di migranti del Mediterreano. C’è sempre una volontà di riportare la storia all’ oggi. Per ora i termini di rottura sono quelli. Magari nel futuro cambieranno. Le bandiere alle volte non bastano. Questa ricerca di simboli è una ricerca molto interessante. Capita che spesso alcuni simboli vengano abusati e si senta la necessità di andare oltre. Alle volte i simboli non comunicano più nulla e serve unirli ad azioni concrete. È un ciclo che va ripercorso sempre, una ricerca continua. È come perpetuare la Camminata.

È possibile dire che la Camminata della Pace abbia un ruolo educativo?

La mia è una formazione sociologica e vedo il Cammino come un metodo di ricerca formativo in primis per l’individuo. Al di là della memoria è bene curiosare sempre, andare a vedere, non dare nulla per scontato. L’idea di educazione implica che ci sia qualcuno che insegni e qualcuno che stia fermo ad apprendere. Durante la Camminata della Pace l’invito è un altro, è di mantenere gli occhi aperti, di non fermarsi mai, di non accontentarsi di ciò che viene detto, di ascoltare quello che si sente e capire come viverlo. L’ invito è, come ricorda Enrico Pieri, ad andar a vedere oltre.  

Che ruolo ha avuto la scrittura per te nel racconto di questa storia?

Raccontare per rendere l’indicibile, dicibile. Scrivere vuol dire rielaborare e osservare. Le stragi sono state raccontate molto tardi, quando c’era chi le potesse ascoltare, chi potesse credere a quella storia e portarla nei tribunali. Da quel momento la memoria è diventata collettiva, non più individuale. Come una sorta di mappa. Siamo tutti collegati. La Camminata aiuta chi ne prende parte a raggiungere importanti momenti individuali che però, una volta condivisi, diventano collettivi e ci si può interrogare su come trasformare in azione la conoscenza. La Camminata è nel momento, nel presente. Ti costringe a stare lì, a sopportare la fatica dell’arrivo. Ti porta a chiederti come userai in futuro quello che avrai imparato, che senso gli darai. La scrittura, i laboratori di scrittura, credo servano a questo, a contribuire a creare la memoria collettiva.

L’immagine di copertina e le foto sono di Simona Baldanzi

Pubblicato da ilariapalmieri

Ilaria Palmieri nasce a Roma nel 1994. Laureata in Design di Interni al Politecnico di Milano, ha poi studiato presso il Royal College of Art di Londra. Ha accumulato collaborazioni con noti studi di architettura milanesi, fra i quali Mario Bellini e Andrea Caputo. La sua curiosità l’ha sempre spinta a prendere parte in concorsi durante i suoi studi, portandola a vincere nel 2017 il primo premio per Framestore’s contest ( animazione e effetti visivi) a Londra, e ad essere finalista per un concorso per Ikea. Nel dicembre del 2019 ha co-fondato Substrata, collettivo interdisciplinare di architettura e design.

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