Attraversare il tempo

Ho provato a fare un esercizio: cercare di ricordare il colore della mia infanzia. Ero convinta che avrei ritrovato solo immagini piene di luce e invece, chiudendo gli occhi, non sono riuscita a distinguere niente. Ero immersa in una totale oscurità. Mi sono sentita come Alice che, dopo essersi infilata nella tana del coniglio, è sprofondata, rotolando capitombolo dopo capitombolo, giù in quello che sembrava un pozzo molto profondo. Forse Lewis Carroll immaginava così l’infanzia, come un sottosuolo in cui solo i più coraggiosi si avventurano anche dopo essere diventati adulti. Certo, è vero che dopo quella caduta che sembrava infinita, Alice raggiunge il Paese delle meraviglie, ma a quante trasformazioni deve andare incontro per superare tutte le sfide che le si presentano?

Con il romanzo Buio, pubblicato in Italia da Carbonio Editore e tradotto da Francesco Annichiarico, la scrittrice polacca Anna Kańtoch ci conduce lungo un’esperienza per certi versi simile a quella di Alice. La protagonista infatti esplora il luogo della propria infanzia attraverso la dimensione della memoria: «Ho sempre saputo che prima o poi sarei tornata a Buio. Rivivo quell’istante come se fosse appena successo».

Dalle prime pagine scopriamo che a parlare è una donna ricoverata in un sanatorio per malati di nervi sul Baltico. Questo primo luogo in cui veniamo accolti ricorda in alcune cose il film Girl Interrupted, in cui alcune ragazze ricoverate in un ospedale psichiatrico trovano conforto nei legami e nelle amicizie instaurate nei corridoi e nei pochi momenti di svago. Ma il sanatorio sul Baltico che incontriamo in Buio non ha nulla che somigli a un ospedale e forse neppure a una clinica. Sembra più evocare le atmosfere di un Hotel in cui trascorrere le vacanze.

«Il personale qui si adopera in tutti i modi per farci dimenticare la vera natura di questo posto: sembra di trovarsi in uno di quegli stabilimenti termali alla moda, abbiamo un campo da tennis e le serate di bridge, il grammofono e la radio». Apparentemente quindi il sanatorio è un luogo magnifico, quasi invidiabile, i pasti sono abbondanti e serviti su fini porcellane e le infermiere sono deliziose. Eppure i giorni sembrano identici l’uno all’altro e il tempo sospeso come in un quadro di Hopper.

Lungo il corso della narrazione la libertà delle pazienti si rivela fittizia: «Bisogna essere svegli per poter sgattaiolare fuori dal sanatorio senza che se ne accorgano. Siamo liberi di uscire quando ci pare, questo è chiaro, ma, ciononostante, capita anche che ogni volta che una di noi decide di oltrepassare il cancello d’ingresso, trovi un dottore che per per pura coincidenza va in quella medesima direzione e offre la propria compagnia».

Il soggiorno in questa gabbia dorata termina quando il fratello maggiore della donna, di cui non conosciamo il nome, viene a riprenderla. L’ avvenimento è tanto inaspettato per la paziente quanto per il lettore. E così ci lasciamo alle spalle il sanatorio e le cure del dottor Krępiński e ci dirigiamo verso Varsavia. Ma la città in cui la protagonista è cresciuta non riesce a liberarla dalle sue ossessioni, dall’altra prigione in cui è confinata, quella della memoria – unico vero luogo di tutto il romanzo.

La struttura dei capitoli riflette la percezione del tempo, in un’oscillazione continua tra Adesso e Ricordi. Il passato ha un peso così forte da impedire al presente di farsi strada – e così resta soffocato tra ciò che è stato e ciò che non può più essere. «I ricordi tornano sempre più spesso a trovarmi. Non sono io a evocarli, appaiono da soli nei momenti meno attesi».

Buio è il nome della tenuta di famiglia dove la protatagonista ha trascorso l’infanzia, dove ora vive il fratello minore. Buio è anche lo scenario della misteriosa morte dell’attrice Jadwiga Rathe. Ma soprattutto Buio è il nome di una delle più grandi paure che i bambini provano, quella di non saper più, nell’oscurità, distinguere le forme.

Anna Kańtoch, Buio, Carbonio editore, p. 183, euro 16

Pubblicato da Carolina Germini

Nata Roma il 24/09/1993. Si laurea in Filosofia alla Sapienza con una tesi su Gilles Deleuze lettore di Proust. Durante l'Università fa due esperienze Erasmus presso École normale supérieure di Parigi, dove si trasferisce dopo la laurea e dove insegna Filosofia ai bambini. Collabora e scrive regolarmente per diverse testate e riviste e ha da poco fondato Tre Sequenze.

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