Le lunghe notti
che con te erano giovani
ormai pensano solo
a ciò che è stato.
A via Ottaviano
invano m’aggrappo
ai rintocchi dei miei passi,
troppo fragili per il plumbeo marciapiede.
Quando assieme
camminavamo,
vagabonda nel tuo sorriso
mandavo tutto alla malora
e la lana di lillà
intorno al tuo collo
diventava presto
il mio calore,
il mio ansimare.
Ora
il magone
è sospeso
ad ogni sibilo di vento,
come un bicchiere
che sta per cadere
in ogni secondo.
Degli occhi lucidi
è la lirica
di ciò che andava vissuto.
Tirato il colletto
della mia giacca
nero e beffardo,
mi chiedo
quale sia stata la mia colpa
se alzo la testa
a questa veglia
per dirti in un solo sospiro
che la tua bellezza
mi ha fatto morire.
Mi è rimasto il freddo
e, di quel bacio,
il tremore.
Il silenzio è un rimpianto
nelle gocce di luce
di un lampione
ed io invece, attonita,
una folle che lo esplora.
I palazzi di fine ‘800
chiudono le finestre
per non essere giudici
nello scorrere dei secoli.
Alessia Camarda