Al cinema anche i timidi guardano negli occhi. “Laggiù qualcuno mi ama”: il Troisi di Mario Martone.

Lo schermo cinematografico è uno specchio in cui guardarsi e riconoscersi, e dove tutto ciò che nella realtà ci appare impensabile può realizzarsi, perché è qui che si compie una grande magia: al cinema anche i timidi guardano negli occhi. A portare al cinema la sua timidezza è stato Massimo Troisi, raccontato nel docufilm diretto da Mario Martone dal titolo Laggiù qualcuno mi ama. Ad emergere, qui, è il Troisi attore, autore, regista, sceneggiatore e personaggio delle sue stesse opere.

Il documentario si apre con una scena di Splendor di Ettore Scola – in cui Troisi ha recitato – e procede seguendo la curiosità di Martone, che vuole ricostruirne la carriera artistica e la personalità. Snoda e riannoda i diversi momenti delle sue creazioni grazie all’aiuto di Anna Pavignano, co-sceneggiatrice dei film di Troisi e di Laggiù qualcuno mi ama. Proprio lei ci mostra foglietti, documenti, agende che gli appartenevano, svolge il nastro e ci fa ascoltare la sua voce, registrata durante una loro bella conversazione.

Conosciamo così un uomo ancora più autentico di quello che siamo abituati a vedere, amante del cinema, creativo in ogni momento della sua vita, anche quando è sofferente a causa della malattia cardiaca, motivo di una riflessione sempre aperta sul tema della morte che spesso ricorre nei suoi film. Pensiamo, per esempio, allo sketch di Ricomincio da tre sul miracolo e all’incontro con l’uomo in autostrada che vuole suicidarsi. La sorte e la morte sono due parole simili che vengono all’improvviso, diceva Massimo. E i napoletani, già di per sé,  hanno un legame molto forte con entrambe. 

Altro tema è quello della malattia, la difformità, insieme alle stereotipie degli esseri umani – che oggi sarebbe più complicato rappresentare – portate all’eccesso. É il caso dell’iconico Robertino, che dopo aver rifiutato diverse incitazioni alla vita e alla libertà, viene mandato a quel paese. Se la struttura dei copioni comici segue dei tempi ben precisi, la comicità di Troisi, invece, aveva dei tempi propri. Prima faceva entrare lo spettatore nel suo mondo, lo accoglieva nelle sue fragilità e poi ne rideva. “Eppure un sorriso io l’ho regalato”, scriveva nella sua agenda.

I suoi gesti, come quello di coprirsi il volto con le mani o di toccarsi il collo, sono tutte manifestazioni di una timidezza così umana con cui era impossibile non empatizzare. Inoltre, il dialetto spontaneo manifesta una lingua parlata, viva, che si discosta dall’uso del dialetto con valore artistico, fino a quel momento diffuso al cinema. In Troisi il dialetto straripa: le ripetizioni, le pause, le false partenze, le incertezze rendono il suo personaggio ancora più umano.

Altro rovesciamento è quello dei luoghi comuni. Il surrealismo (“Noi napoletani mangiamo solo la mozzarella e pizza”) e i giochi di parole (“Sei antipatico, parli troppo. Sei uno che parla troppo antipatico”) sono alcuni degli elementi del comico di Troisi che nella maggior parte dei casi nasceva per improvvisazione, ma spesso era frutto di esperienze reali che lui ed Anna Pavignano scrivevano e poi inserivano nei film. Ne è un esempio, in Ricomincio da tre, la battuta sul nome del figlio: «Massimiliano no, per carità, viene scostumato, Ugo invece viene educato perché appena lo chiami subito si ferma» – che avevano pensato in spiaggia dopo aver assistito a una scena di alcuni bagnanti. Troisi attingeva dal quotidiano, dalle increspature della vita, dalle situazioni reali e paradossali.

Tutto ciò che scopriamo di Massimo dal docufilm non è frutto di aneddotica o di testimonianze, ma di un confronto e di una ricerca. Martone segue le sue parole ricostruendo foglietti inediti, come un archivista e come uno spettatore appassionato, un vero amante del suo modo di fare cinema. È, dunque, un film sul fare cinema e sulle influenze del cinema d’autore. A raccontare Troisi, non ci sono solamente persone a lui care, amici, conoscenti, ma soprattutto cineasti e artisti affascinati e da lui influenzati nel loro percorso: Francesco Piccolo, i The Jackal, Goffredo Fofi, Ficarra e Picone, Paolo Sorrentino. Quest’ultimo, a ventuno anni, giovane studente di Economia e Commercio, gli scrisse una bellissima lettera in cui si proponeva come assistente alla regia dopo aver ricoperto lo stesso ruolo sul set di Ladri di futuro di Enzo Decaro (che con Troisi e Lello Arena tempo prima aveva costituito La Smorfia).

Martone vede il personaggio dei film di Troisi da lui interpretato vicino ad Antoine Doinel, creazione cinematografica di Francois Truffaut. L’amore, sentimento comune a entrambi, è nei personaggi troisiani un desiderio impossibile laddove spesso la donna gli appare come un mistero indecifrabile. Il giovane Massimo è timido e impacciato e quando si innamora propone maniere diverse di vivere il sentimento. La sua afasia diventa l’unica possibilità di comunicazione accompagnata da un’aria malinconica, come vediamo ne Il postino, film che segna la svolta drammatica come punto d’arrivo e fine di un percorso cinematografico e autoriale in continua crescita.

Interprete della tradizione e della contemporaneità, era partito facendo Pulcinella (nel docufilm vengono fatti parallelismi con Totò) e comincia la sua carriera cinematografica col racconto del disagio di una generazione all’interno di un quadro fallimentare post-68, in cui i giovani annaspano e vivono di espedienti; o restano a Napoli come eterni adolescenti oppure lasciano la città in cerca di fortuna. La fragilità di quella generazione è la stessa di Massimo che ha sperato in un cambiamento e poi ha tentato di conviverci. In quegli anni Troisi è un antidivo vicino a temi attuali, fra cui il femminismo, come racconta nel nastro che Pavignano ci fa ascoltare. Da approfondire sarebbero, infatti, i personaggi femminili dei suoi film, letti in relazione alla rappresentazione della donna in altri film di quegli anni. Così potremmo capire ancora meglio come sia importante il lavoro cinematografico del regista al di là delle più diffuse riletture. Perché Martone e Pavignano sono riusciti a raccontare Troisi in maniera inedita, libera, con gli occhi del cinema e della cultura in un macrocosmo che non isola il comico alla finita esperienza filmica, ma che lo apre verso orizzonti nuovi da navigare ancora. 

L’immagine di copertina è di Mario Tursi

Pubblicato da Paola Nitido

Paola Nitido è nata a Napoli e vive a Bologna. Scrittrice e insegnante, si interessa di letteratura femminile, cinema, sud, pari opportunità. È autrice del libro: "Le vite degli altri abitano la mia. La scrittura del sé nell'opera di Fabrizia Ramondino".

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