Il celebre testo di Edmond Rostand rivive nella colorata e fantastica rappresentazione di Arturo Cirillo, con cui ha appena concluso la sua tournée in diversi teatri italiani. La pièce segue la trama dell’opera e su questa innesta e intreccia altri modelli. Nella cornice di un teatro-canzone, attori e attrici luminosi fanno brillare il testo, che tutti noi conosciamo, in una veste raffinata. Cyrano, il personaggio storico, spadaccino e letterato dal naso imponente, porta con sé la poesia e la musica, l’illusione e l’ironia: «Il mio naso mi precede sempre di un quarto d’ora».
Lo spettacolo Cyrano de Bergerac nasce da un tuo ricordo, in cui da ragazzino rimani incantato dal musical Cyrano di Domenico Modugno, andato in scena al Teatro Politeama di Napoli. Come affiora? Qual è la madeleine proustiana?
Mi capita spesso di ripercorrere sentieri della giovinezza e dell’infanzia. È un’epoca della vita a cui ripenso. Fino ai diciannove anni ho vissuto in un luogo incantato: una casa in Viale Calascione 16, traversa di Monte di Dio, sopra Cappella Vecchia. Si chiama Viale, ma in realtà è un vicolo molto stretto detto «calascione» perché ricorda lo strumento musicale, simile al mandolino, con una parte molto lunga che termina con una cassa armonica. Questa strada terminava con un palazzo del ‘700 nel quale ho abitato. In realtà, sono nato a Castellammare di Stabia, poi ho vissuto per un anno ad Ercolano e poi a Napoli (in questa casa) e poi a Roma, momento in cui è morto mio padre, per cui ritorno spesso a quel tempo che fu, anche, traumatico. Tre anni fa, dopo il lockdown e le varie riaperture, parlando con i miei produttori e la mia Compagnia, si pensó di cominciare a lavorare a un nuovo spettacolo. Mi sono chiesto cosa volessi raccontare e sono tornato al tempo della giovinezza napoletana. I mesi delle chiusure dei teatri, a causa del Covid, sono stati deprimenti. Quando sembrava che il teatro potesse riaprire, poi ha richiuso. Il teatro è sempre stato un luogo che mi permetteva di restare bambino, di non essere legato alla mia esperienza personale, interpretare i panni di altri, stare in un mondo di fantasia e illusione. Non potendo andare in scena, ho sofferto ancora di più e ho pensato di non poter fare più teatro e di dovermi dedicare ad un’altra forma espressiva. Vivevo il teatro con incertezza. È stato, quindi, naturale tornare a parlare dell’origine della mia passione e del momento in cui ho cominciato a maturare l’idea che avrei voluto passare molto tempo come teatrante.
Le canzoni e le rime sono sciolte, armoniche, flessuose avvolte dall’eleganza unita allo sbrilluccichìo del varietà. Le luci della ribalta si concentrano sull’uomo e sul personaggio: Cyrano, poeta, ma soprattutto amante. Nel senso che ama la bella Rossana la quale, però, ama Cristiano. Non vediamo veri e propri scontri bensì duelli danzanti all’interno di un set televisivo anni 80’ costruito attorno a un carosello. La vicenda sentimentale supera il lato cavalleresco della trama ottocentesca e ci mostra un Cyrano performer che indossa il suo naso come una maschera, un alibi, un gioco, un feticcio. Il primo a vedere in quel naso un ostacolo per amare ed essere amati è proprio lui: Cyrano. Oltre il principio dei Greci che ritenevano che la bellezza e la bontà fossero due facce della stessa medaglia – la kalokagathia – Cyrano dimostra che la bontà va di pari passo con la poesia, che alberga in uomo brutto che si nasconde e parla attraverso un altro uomo, figura a lui complementare. Se da un lato il Cyrano di Cirillo ci ricorda Pinocchio, (tantissimi gli elementi in comune fra i due «parenti di naso»), dall’altro il vero burattinaio è proprio lo spadaccino che orchestra la vicenda atavica di un amore impossibile. Di questo e molto altro ho parlato con Arturo Cirillo.
La passione è nata da ragazzino, quando andavo a vedere molti spettacoli. Cominciai a pensare di voler fare Pinocchio, ma era troppo rischioso. Altro spettacolo che mi colpì fu quello di Harold Pinter con la regia di Carlo Cecchi. Poi mi è venuto in mente la messa in scena che fece Modugno del Cyrano de Bergerac, testo che già di per sé mi piace ed è legato al momento della folgorazione «sulla via di Damasco». La macchina creativa è partita in quella direzione, ma ho capito che non volevo fare un musical. A me non interessava portare in scena quello che avevo già visto, ma un mio sguardo, una mia trasfigurazione. Quindi, per me, il musical era un punto di partenza non un punto di arrivo. Abbiamo cominciato a improvvisare a partire dal testo sul quale avevo lavorato facendo dei tagli. Ci sono stati continui adattamenti e mie invenzioni, come l’inserimento del Prologo iniziale che ha scritto Francesco Petruzzelli. Oltre a questo spettacolo di Modugno, del quale cito le canzoni, volevo citare l’adattamento di Pazzaglia. La musica con cui inizia lo spettacolo è la stessa con cui iniziava il musical di Modugno, poi quella di Cyrano, la signora della capitale, la canzone del pasticcio – cantata nel musical dalla moglie del pasticcere che io ho levato come personaggio, poiché il testo di Rostand ha tantissimi personaggi. Ho unito allora questo spettacolo insieme ad altri due miei grandi amori: Pinocchio, lo sceneggiato di Comencini e uno spettacolo di Carmelo Bene che vidi al Teatro San Carlo di Napoli in cui lui indossava delle maschere (fatte da Tiziano Faro) che ricordo in maniera nitida. Soprattutto quella del pupazzo di Mangiafuoco, enorme, che riempiva tutto il teatro del San Carlo di Napoli.
Pinocchio, parente di naso di Cyrano, é evocato all’inizio del mio spettacolo quando si comincia a nominare la lumachina, il grillo parlante. In realtà, la grossa presenza di Pinocchio è evidente quando Rossana dice a Cyrano che «per dirgli questo mio segreto» (cioè che Rossana è innamorata di Cristiano) ha bisogno di «ritornare un po’ alla sua giovinezza». Questo è quello che ho fatto anche io durante la progettazione di questo spettacolo.

Foto di Tommaso Le Pera
E Rossana è un po’ la fata turchina di Cyrano, come anche il colore dell’abito che indossa farebbe pensare...
Certo, quando loro ricordano l’infanzia dicono che Cyrano gioca a fare Pinocchio e Rossana la fata turchina, motivo per cui nello spettacolo ha i capelli turchini e la sua governante si chiama lumachina. Numerose sono le assonanze con Pinocchio in tutto lo spettacolo. Soprattutto quando nel V atto, dopo che sono passati 15 anni nella vicenda di Rostand, io canto la canzone di Geppetto che cantava Nino Manfredi e che io canto a cappella alla fine dello spettacolo. Inoltre, per citare Pinocchio nella rappresentazione di Rostand sono andato a cercare un libro di Gianni Rodari in cui utilizza la forma della filastrocca (lingua semplice, verso rimato, elementi infantili). E infatti quando cito l’opera di Collodi nel momento del ricordo e all’inizio dello spettacolo riuso i toni della filastrocca: «Qui comincia, aprite gli occhi, l’avventura di Cyrano». In realtà, é una riscrittura del testo di Rodari.
Quindi, tu sei molto vicino alla giovinezza, all’infanzia, non solo per il tuo legame autobiografico con il testo di Cyrano ma anche per i riferimenti alla letteratura d’infanzia come Collodi e Rodari…
Esatto, la storia è raccontata come una favola.
La tua favola?
La mia favola è quella eterna di Cyrano. Tra l’altro, mi ha colpito proprio oggi leggere l’introduzione di Chiara Valerio al libro Althénopis di Fabrizia Ramondino, in cui cita questa parte del romanzo: «Tutto dunque era finito fra me e loro poiché mi negavano le mie uniche due consolazioni: la favola e il teatro». Nel segno della favola ho costruito questo mondo illusionistico, irreale, sognante.
E nel segno dell’illusione, cioè quella dell’infanzia, del teatro?
Sì, anche l’illusione di Cristiano che vuole dimostrare a Rossana di essere un grande poeta, anche se lo è Cyrano. Detto con l’accento sulla prima sillaba, come cantava Modugno, nelle canzoni di quel musical, per me un riferimento importante.
Mi è piaciuta molto la simbologia del naso che sul palcoscenico arriva all’interno di un teatrino. Indossare il naso per l’attore che interpreta Cyrano significa diventare personaggio. Se per esempio in Natale in casa Cupiello l’attore si sveste in scena e si mostra come personaggio, all’inizio della commedia qui, invece, si veste con il naso. Elemento anche un po’ pirandelliano perché è una maschera, un alibi, raccontato in maniera ironica e autoironica.
Il termine alibi è giusto. Il naso è la simbologia del grande complesso di Cyrano poiché il primo a vedere il suo naso così grande è lui stesso.
Come succede in Pirandello. Inoltre, il naso sembra un feticcio freudiano, un punto di debolezza, di emarginazione. Ci sono molte chiavi di interpretazione per la simbologia del naso.
In due momenti, infatti, Cyrano si leva il naso: il primo quando sembra che il suo alibi di eterno fallito possa risolversi. E poi quando durante la guerra Rossana, innamoratasi delle lettere che ha ricevuto da Cristiano, dice che lo amerebbe anche se fosse brutto. Lí Cyrano ha l’impressione che lui può amarla e da lei puó essere amato. Volutamente Rostand nel momento in cui la vicenda può sciogliersi fa morire Cristiano. Ma Cyrano decide di rimanere fedele all’amico non confessando a Rossana che l’autore delle poesie era lui.
È Cyrano stesso che si macchia come il brutto. Il naso è come un segno di fallimento e in questo io vedo un rispecchiamento di Rostand che fino alla rappresentazione di Cyrano aveva collezionato una serie di fallimenti teatrali.
Infatti Rostand è legato soprattutto allo spettacolo Cyrano e a Chantecler, opera in cui tutti i personaggi sono animali. Vidi questo spettacolo con l’adattamento di Enzo Moscato.
Il personaggio storico di Cyrano ha avuto successo grazie all’autore Rostand. Un bel rapporto fra persona e personaggio. È il teatro che salva.
Sí, anche Cyrano e Cristiano sono diversi ma complementari: uno si sente brutto, l’altro incapace di conquistare Rossana perché incespica, come canta nella canzone. In questo senso torno alla Prefazione di Chiara Valerio che cita Cyrano dicendo: «Althénopis squaderna la sua irrefrenabile eccitazione, proprio come Cyrano attraverso le parole».
Possiamo tracciare un filo da Cyrano a Rostand a oggi. Anche tu hai un rapporto importante con il passato infatti hai messo in scena, prima di Rostand, Molière e Austen.
Il passato è attuale. Sento quei testi come contemporanei, non nella forma, ma nei contenuti. I sentimenti amorosi sono eterni e le problematiche non sono molto cambiate. Inoltre, ciò che fanno Cristiano e Cyrano è contemporaneo perché costruiscono quasi un avatar. É come se inventassero un personaggio che vive soltanto dentro ai social che in realtà non esiste. Il vero ingannatore è Cyrano sia verso Rossana sia verso Cristiano dietro alla cui bellezza si nasconde.
Il burattinaio, tornando alla similitudine di Pinocchio, è allora Cyrano…
Sì, è lui il Mangiafuoco. Come quello che vedi da ragazzo. Ora che ci penso, a me questa storia è sempre piaciuta perché mi ricorda un libro molto caro: Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Il libro che lei stava scrivendo quando si andò a rifugiare con Moravia a Fondi. Nella storia la protagonista povera si innamora di un cugino ricco e bello – che ricorda il personaggio di Alain Delon de Il gattopardo . Quando lui muore, sua madre impazzisce. Una sua cugina si inventa delle finte lettere di lui alla mamma per farle credere che il ragazzo sia ancora in vita. Questa storia delle lettere mi ha molto suggestionato perché sembrava vicina alle lettere che si rimandano Cristiano e Rossana che in realtà sono scritte e inviate da Cyrano.
Cyrano de Bergerac da Edmond Rostand
adattamento e regia Arturo Cirillo
con (in o. a.) Arturo Cirillo, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli,
Irene Ciani, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Paolo Manti
musica originale e rielaborazioni Federico Odling
costumista collaboratrice Nika Campisi
assistente alla regia Mario Scandale
assistente alle scene Eleonora Ticca
produzione MARCHE TEATRO, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro
Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro / ERT Teatro Nazionale