La Biennale d’Arte 2022, prima che apra

Excursus sul tema di questa edizione. Da leggere sul treno per Venezia (o dove  preferite). 

Corpi che cambiano. Il latte dei sogni è il titolo della 59ª Biennale d’arte di Venezia, che verrà inaugurata in anteprima il 21 aprile e resterà aperta al pubblico da sabato 23 aprile a domenica 27 novembre 2022. Aspettando questo inizio, questo  sembra un momento perfetto per iniziare a immergersi nel mondo metamorfico di  questa edizione, indagando i molteplici temi e ispirazioni che hanno dato vita a quella che si prospetta essere la Biennale d’Arte più inclusiva di sempre. La presenza di 213 artiste e artisti – di cui 180 nuovi iniziati – alla Esposizione Internazionale d’Arte, 80 nuove produzioni e più di 1400 opere in mostra, è un chiaro  segnale  che questa Biennale voglia imporsi come una ventata di aria fresca che  spazzi via la staticità corporea di questi due anni appena trascorsi, «il segno di uno  sforzo collettivo che ha qualcosa di miracoloso», nelle parole di Cecilia Alemani,  curatrice di questa edizione. 

Effettivamente qualcosa di miracoloso c’è: per la prima volta nella storia  dell’esposizione dal dopoguerra, la curatrice non ha avuto la possibilità di vedere dal vivo tutte le opere in mostra e ha intrattenuto le relazioni con gli artisti tramite lo schermo del pc. In risposta a questa situazione, la mostra si concentra su tre aree tematiche che parlano prepotentemente di corpi, della loro rappresentazione e della loro  metamorfosi, la relazione tra gli individui e le tecnologie, e i legami che si intrecciano tra  corpi e terra. Il titolo Il latte dei sogni riprende quello del libro di favole di Leonora Carrington (1917- 2011), artista surrealista inglese, nel quale viene descritto un mondo onirico in cui la realtà è relativa e c’è spazio per inventare una dimensione parallela, non asservita alle regole del reale, dove ognuno può essere diverso da sé e in continua mutazione.

Cortesia dell’autore

Il progetto di allestimento, curato dal duo di designer FormaFantasma, prevede un  percorso che si articola nei vari spazi della Biennale, alternando opere site-specific e  ambientali a vere e proprie capsule del tempo che permettono una narrazione storica  dei temi affrontati, in quella che la curatrice chiama «una precisa coreografia  architettonica»

L’elemento comune dell’esposizione può essere ritrovato proprio nella mutazione dei corpi che  vengono identificati come “disobbedienti”: «Storie di corpi disobbedienti che si ribellano alle visioni e rappresentazioni classiche». Un’indagine messa in atto tramite opere contemporanee ma anche esposizioni storiografiche, che spaziano tra il Surrealismo, il Futurismo, il Bauhaus, l’Harlem Reinaissance e la Negritude, attraverso un approccio  trans-storico. 

Cinque capsule, ognuna con un tema diverso, permetteranno ai visitatori di tracciare  passo dopo passo un percorso che parte dalla metamorfosi per arrivare alla completa  trasformazione dell’umano in post-umano. Intorno a queste bolle temporali, si  sviluppa tutto il lavoro degli artisti contemporanei in mostra, che attraverso opere che  vanno dall’arte visiva, passando per quella ambientale, la scrittura, la danza e il film affrontano un tema quanto mai attuale. 

La prima capsula, La culla della strega, raccoglie le opere di 30 artiste delle Avanguardie  Storiche, tra le quali Carol Rama, Eileen Agar, Claude Cahun, Leonor Fini e la stessa  Leonora Carrington. Il tema è quello dell’opposizione alla figura dell’uomo  rinascimentale, unitario, perfetto, tutto d’un pezzo, celebrando invece la metamorfosi, l’ambiguità, la frammentazione del corpo, la relazionalità, l’ibridismo, in favore del superamento di tutti i dualismi e in particolare di quelli che hanno caratterizzato il  pensiero antropocentrico, come le contrapposizioni mente-corpo e maschile-femminile. 

Jane Graverol, L’École de la Vanité, 1967. Photo Renaud Schrobiltgen. Courtesy Schirn  Kunsthalle Frankfurt.
Fuori dalla capsula 
Sara Enrico, The Jumpsuit Theme, veduta dell’allestimento, Ph. Marta Alessandro

Tecnologie dell’incanto è la seconda capsula, che espone opere di artiste italiane degli anni ’60, vicine all’arte programmata e all’arte cinetica, che hanno riflettuto sul  rapporto tra la tecnologia e il corpo, attraverso un linguaggio astratto che spazia dai  quadri in rilievo di Dadamaino fino agli Schemi Luminosi di Grazia Varisco, dove la luce dà vita a forme in continuo movimento che allontanano il visitatore dalla dimensione  contemplativa dell’arte.  

Dadamaino, Cromorilievo, 1974, Courtesy Archivio Dadamaino
Fuori dalla capsula
Ulla Wiggen, Iris XVIII Line, 2021

Corpo orbita, la terza bolla temporale, vuole ricordare al pubblico che la Biennale d’Arte non ospita solo artisti visivi bensì anche intellettuali, scrittori e scrittrici che  hanno fatto del linguaggio una forma di emancipazione. In particolare, questa capsula  è ispirata alla mostra Materializzazione del linguaggio, allestita alla Biennale Arte, 1978, a cura di Mirella Bentivolgio, e raccoglie opere di Poesia Visiva e Poesia Concreta. 

Tomaso Binga, Dattilocodice, 1978.
Fuori dalla capsula
Alexandra Pirici, Aggregate, Art Basel Messeplatz 2019


«Una foglia una zucca un guscio una rete una borsa una tracolla una bisaccia una  bottiglia una pentola una scatola un contenitore» è il criptico e didascalico nome della  quarta capsula, ispirata agli scritti di Ursula K. Le Guin, nei quali la storia della civiltà  umana viene riletta, individuando la prima invenzione tecnologica non nelle armi, quanto negli oggetti utili alla raccolta, al sostentamento e alla cura. La capsula presenta dunque una «iconologia di recipienti di varie forme e dei loro legami simbolici, spirituali  e metaforici con la natura».

Bridget Tichenor, La Espera (The Wait),1961. Ph: Javier Hinojosa. Private Collection. ©  Estate of Bridget Tichenor.
Fuori dalla capsula 
Delcy Morelos, Inner Earth, 2018, Ph: Röda Sten Konsthall.

La seduzione dei cyborg è la capsula finale, dove la trasformazione del corpo diventa  post-umana tramite l’introduzione della figura del cyborg, che viene raccontata  attraverso le protesi di Anna Coleman Ladd, i costumi scenografici dalle sfumature  metalliche e meccaniche del costruttivismo russo, corpi robotici artificiali, in  esplorazione del rapporto tra il corpo organico e quello sintetico. 

Kiki Kolgelnic, Artificial Man in Four Parts (1-4), 1967.
Fuori dalla capsula 
Diego Marcon, The Parents Room, 2021, film

La mostra continua poi negli spazi esterni con varie installazioni, tra cui le opere di  Giulia Cenci, Virginia Overton e Marianne Vitale, e negli spazi del Padiglione delle Arti  Applicate, grazie alla collaborazione del Victoria & Albert Museum di Londra. 

Infine, tra gli eventi collaterali segnalati dalla curatrice, spuntano delle esposizioni che,  in linea con la natura di interconnessione di quest’ edizione, uniscono l’opera di più artisti. Tra tutte troviamo la mostra Antony Gormley / Lucio Fontana negli spazi della  Fondazione Olivetti e Vera Molnár: Icône 2020 all’Atelier Muranense.

Alla soglia della sessantesima edizione, la Biennale d’Arte di Venezia rimane dunque  un appuntamento imperdibile per tutti coloro che si interessano di arte ma anche per coloro che praticano l’arte della curiosità. L’Esposizione porta infatti con sé molte  responsabilità, come scrive  Cecilia Alemani: «La libertà di incontrarsi con persone da tutto il mondo, la possibilità di viaggiare, la gioia di stare insieme, la pratica della differenza, della traduzione, dell’incomprensione e  quella della comunione».  

Condividendo in pieno questo spirito di metamorfosi e relazionalità e aspettando il  momento più propizio per visitarla, torno a monitorare le offerte dei treni per Venezia S. Lucia.  

Per approfondire: https://www.laBiennale.org/it/arte/2022/59-esposizione

Pubblicato da Marta Gaudino

Nasce a Roma, nel 1995. Dopo la laurea in Progettazione Architettonica a Roma Tre, con una tesi sulla dimensione cinestetica dell’architettura, completa un Master in Allestimenti e Museografia all’Università di Firenze. Contemporaneamente studia produzione musicale e scrive canzoni. Attualmente collabora con il Chiostro del Bramante, a Roma, nell’allestimento delle mostre.

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