Avrei voluto iniziare questo articolo con una citazione, ma Furore è uno di quei romanzi rispetto ai quali è difficile scegliere, perché ogni capitolo trasuda storie, intuizioni, idee.
Nonostante la lunghezza, si potrebbe definire l’opera di Steinbeck un manifesto politico: ambientato negli Stati Uniti degli anni Trenta, a metà tra la crisi del ’29 e lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, The Grapes of Wrath – questo lo splendido titolo originale – racconta le condizioni di povertà dei mezzadri soprattutto dell’Oklahoma e dell’Arkansas, sfrattati dai grandi proprietari terrieri e dalle banche («il mostro» che deve fare utili continuamente e che non può smettere di fare profitti), costretti a migrare a causa della crisi ambientale verso il mitico Ovest, attratti da promesse di lavoro, campi lussureggianti e condizioni di vita migliori.
Il romanzo nasce da un’inchiesta a puntate sulle storie e sulle condizioni dei migranti provenienti dal Midwest pubblicata da Steinbeck sul San Francisco News. L’origine giornalistica del capolavoro letterario è palpabile in ogni pagina del libro: lo stile è asciutto, quasi secco, e allo stesso tempo estremamente potente e incisivo.
I mezzadri, che il viaggio rende anche migranti, capiscono ben presto che la loro situazione non è destinata a migliorare e che, negli Stati che attraversano e in California (loro meta finale), oltre all’oppressione dettata dalla povertà, devono fare i conti anche con le discriminazioni legate alla condizione di stranieri.
Alla violenza della povertà e della fame va, infatti, ad aggiungersi quella delle frontiere e del razzismo, e alle discriminazioni i mezzadri/migranti/braccianti rispondono ora facendosi la guerra, ora con l’organizzazione e la creazione di comunità e di reti di solidarietà. Lo snodarsi della narrazione sembra non tralasciare alcuna forma di ingiustizia, riuscendo a cucire le diverse storie e prospettive di oppressione in maniera sempre lucida e schietta.
L’attualità delle tematiche affrontate è disarmante e il ritmo del racconto risulta scandito da episodi dai quali dirompono senza freni le condizioni di sfruttamento, diseguaglianza e repressione alle quali sono costretti i poveri e migranti.
Nello sfogliare le pagine del romanzo, sembra quasi di udire questo ritmo incalzante che avvolge e non lascia tregua, sapientemente tradotto in musica da Giovanni Lo Cascio in Furore, adattamento teatrale di Emanuele Trevi: andato in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 9 al 14 novembre, lo spettacolo proseguirà ora la sua tournée fino al 26 novembre, sostando a Lugano, Sondrio, La Spezia e Siena.
Le percussioni, unitamente alle fotografie d’epoca e agli artwork proiettati sullo sfondo del palcoscenico (creazione video di Igor Renzetti e Lorenzo Bruno), sono co-protagoniste della scena insieme al testo letto da Massimo Popolizio, voce pulsante e travolgente oltre che ideatore dello spettacolo.
I brani scelti si susseguono secondo capitoli-temi (la polvere, i trattori, il latte…) che scandiscono la lettura e forniscono al pubblico una bussola con la quale orientarsi durante il reading.
Quasi mai vengono citati i personaggi del libro, come a rendere ulteriormente universale una storia che già si presenta senza tempo: le tematiche affrontate in Furore abbattono i confini spazio-temporali del romanzo e si propongono quindi come ideali coordinate di interpretazione anche per il nostro presente.
La lettura teatrale, come il testo dal quale scaturisce, è epica, drammatica e ironica allo stesso tempo, urla le condizioni di sofferenza dei migranti sfrattati dalla loro terra («Ecco cosa la rende nostra: esserci nati, lavorarci, morirci. È questo a darcene il possesso, non un pezzo di carta con sopra dei numeri») e poi sfruttati nei campi della California.
Nell’ascoltare i brani selezionati, sembra di assistere a scene per noi quotidiane, dagli sfratti alla crisi climatica, dalle migrazioni all’organizzazione di comunità e forme di resistenza.
Lo spettacolo, strutturato in maniera diversa dal romanzo, come questo si conclude, con l’immagine dell’allattamento, con il latte di Rose of Sharon che, nonostante il sapore di morte che lo macchia, si rende fonte di solidarietà e di vita.
Furore è un libro che andrebbe sempre letto ad alta voce e collettivamente, come collettivamente devono essere coltivati i semi del furore.

L’immagine di copertina è di Federico Massimiliano Mozzano.