Il mondo è uno: le città italiane di Yannis Ritsos

Quelle belle journée,

belle, plus belle, quand elle protège à nouveau,

avec retard, un certain droit le nôtre à l’émerveillement,

un certain droit le nôtre à la jeunesse éternelle du monde.

Entrare in libreria con un’idea precisa in mente, ma perdersi poi fra gli scaffali e imbattersi in un imprevisto serendipico: una fra le tante e belle dinamiche di incontro fra libro e lettore. Ma ancor più bella quando giunge con la naturalezza e la sorpresa di cui sono dotate anche le più ordinarie cose della vita quotidiana, dopo mesi di rinuncia per le ben note cause di forza maggiore. Così, con una simile inquiétante étrangeté ho fatto conoscenza del libricino in questione: dopo il confinamento in Francia, con nostalgia dell’Italia e della Grecia, questo libro si è mostrato e offerto al posto giusto, al momento giusto.  

Si tratta di una piccola raccolta di poesie di Yannis Ritsos, seconda parte di un trittico dedicato ai viaggi del poeta in Italia. Yannis Ritsos (1909-1990) è uno dei più importanti poeti greci del Novecento. Strano destino quello della poesia greca in Italia: a parte gli autori antichi, solo Kavafis (1863-1933) gode di un’ampia e meritata fama. Anzi, in Italia è forse uno dei pochi poeti europei così conosciuto. Eppure, le Muse non hanno abbandonato la Grecia nel ’33, e la tradizione del Novecento poetico greco non ha nulla da invidiare alle altre letterature europee.

Yannis Ritsos è, infatti, uno dei più bei petali che compongono la rosa dei poeti greci del Novecento, in grado di coniugare, con rara sapienza, coscienza politica e slancio lirico. Capace di un linguaggio universale, che a noi può parlare forse ancor più che ad altri, considerato il forte legame di Ritsos con l’Italia, e il legame inscindibile che nonostante secoli di storia continua a unire le due penisole. Ed è proprio dai viaggi compiuti da Ritsos in Italia e dalle amicizie sorte che nasce il Trittico italiano, l’insieme di tre brevi raccolte di poesie, quasi tre diari di viaggio alla scoperta dell’Italia.

Le monde est un è il secondo di questi diari ed è appena stato ripubblicato e ritradotto in Francia dalla casa editrice ErosOnyx. Ammetto che la veste grafica, nonché il nome dell’editore, possano dare l’impressione di amatorialità. Tuttavia, un’introduzione acuta e sensibile e una calibrata traduzione in francese smentiscono questa pur legittima impressione. Gli editori hanno sicuramente il pregio di mettere in circolazione un’opera poco nota, e un editore che al giorno d’oggi investe sulla buona poesia è comunque un piccolo eroe.

Come nei migliori récits de voyage, Le monde est un ci fa salire a bordo di una vecchia macchina e ci fa fare un bellissimo giro in luoghi conosciuti e sconosciuti, come fossimo anche noi lì,  senza aver mosso i piedi di un centimetro. Si parte da Mondello e Palermo, in Sicilia, per poi passare da attraversare  Salerno, Amalfi, Positano, Pompeia. Infine, si risale Roma e, velocemente, Siena e Milano. Una scalata della Penisola che sfugge alle logiche del turismo e sembra affidarsi più al fiuto, al consiglio e all’ospitalità degli amici.  Piccole e grandi mete dialogano, come è giusto che sia, mentre piano e imprevisto si intrecciano e disegnano un’irripetibile mappa.

Si è parlato di un diario poetico, ma di cosa parlano queste poesie, cosa raccontano? Abituati alla narrazione televisivo-documentaria e a quella spot-turistica, potremmo aspettarci grandi panorami, paesaggi mozzafiato, città incantevoli e straordinarie, meraviglie della natura e dell’arte, oppure vecchie signore vestite di nero che preparano da mangiare, tessono o si dedicano al buon vecchio artigianato di una volta. Niente di tutto questo immaginario abusato, per fortuna, nei versi di Ritsos. Come un mimo nella tradizione antica, Ritsos ritrae i piccoli gesti su cui il suo sguardo si posa, scene di vita qualunque a cui, spettatore in disparte, assiste, si interroga, immagina, fantastica.

Lungi da essere bozzetti stereotipati, questi quadri di vita quotidiana registrano l’autentico. Per rendersene conto, basta anche la poesia di apertura (La première nuit à Mondello [La prima notte a Mondello]): Ritsos descrive il riverbero della luna sull’acqua come un gomito di luce, a cui fa pendant il braccio peloso del marionettista che dà uno spettacolo di «pupi». Il lucore lunare, immagine libresca financo banale, non gode di maggiore attenzione lirica del corpo del marionettista. Così gli odori del mare, ma anche del sudore della ragazza del mercato e dei ricci di mare. Così le musiche lontane, la quiete di chi dorme, ma anche i preparativi per il mercato che aprirà all’alba. Nessun dettaglio ha una dignità lirica a priori, ma l’acquisisce una volta che lo sguardo di Ritsos vi si posa, cogliendone il valore.

A questa attenzione lirica al reale, alla brutalità e alla dolcezza del vero, potrebbero essere dati due livelli di lettura. Il primo mette in risalto il valore conoscitivo che Ritsos attribuisce all’atto del puro osservare la vita quotidiana: grazie all’osservazione il poeta comprende. Non ha certo la pretesa di capire chi ha davanti e da un paio di dettagli farsi un’idea del paese che visita. Tuttavia, Ritsos coglie l’occasione per interrogare sé stesso e  ciò che vede e cercare di capirne il valore: ad esempio, ponendosi domande sull’impenetrabilità di un codice linguistico e culturale che non è il proprio (Rencontres impénétrables [Incontri impenetrabili]), sulla tabula rasa della storia e della memoria (Salerne au matin, I [Salerno al mattino, I]), sulla forza del desiderio e del corpo (La nouvelle simplicité [La nuova semplicità]). È la visita a Pompei (L’adieu à Pompéi [L’addio a Pompei]) che gli permette di formulare l’espressione del suo massimo universalismo: «oui, le monde toujours est un» [sì, il mondo è sempre uno], e così via. Una piccola luce di comprensione sembra circonfondere queste immagini una volta evocate.

Il secondo livello di lettura è metapoetico e mette dunque in gioco il ruolo della poesia, l’idea di poesia secondo il suo autore. In effetti, trattandosi di un diario in versi, è proprio la poesia il mezzo espressivo atto a registrare, interrogare e comunicare questi episodi di vita osservata. Sono due i momenti più intensi di tensione metapoetica: Salerne au matin, II [Salerno al mattino, II] e Le poème-Positano [La poesia-Positano]. Nella prima poesia è mattino presto, sembra di capire che Ritsos è seduto al tavolo di un bar non lontano dal mare, fuma e osserva il lavoro di uomini e ragazzi. D’un tratto, il discorso poetico prende una piega inaspettata: il punto di vista non è quello di Ritsos ma quello della poesia “in persona”.

[…] tandis que derrière les vitres embuées du grand café,

inemployée, la poésie observe avec une tristesse indéfinissable

en notant sur mon paquet de cigarettes des petits chiffres –

le prix du café, de la glace, des noisettes, de l’essence,

et le prix des mots indicibles, qui sont en retard.

[…] mentre, dietro i vetri appannati del grande caffè,

disoccupata, la poesia osserva con un’indefinibile tristezza

e annota sul mio pacchetto di sigarette piccole cifre –

il prezzo del caffè, del gelato, delle nocciole, della benzina,

e il prezzo delle parole indicibili, in ritardo.

Insolita e originale immagine della poesia: una vaga e triste figura che prende nota sui pacchetti di sigarette di piccoli dettagli di viaggio, di appunti utili… e del prezzo delle parole impossibili. Di questo, quindi, scrive Ritsos: di piccoli dettagli, di frammenti di realtà osservata dietro un vetro appannato, nell’attesa di comunicare l’indicibile, con la tristezza indefinibile non riuscire a restituire la realtà.

Eppure, Ritsos sembra credere nel legame identitario fra poesia e realtà, attraverso l’azione creatrice della scrittura. Così è, infatti, nei versi conclusivi di Le poème-Positano. Tra le case del notissimo comune campano arroccato sulla costiera, Ritsos osserva la vita che si svolge dietro cinque finestre, e finisce per dire:

ces cinq fenêtres, je voudrais, comme un poème de cinq vers,

les signer, en calligraphie et en toutes lettres, de mon nom.

[queste cinque finestre, vorrei, come una poesia di cinque versi,

firmarle, in bella grafia e per intero, col mio nome]

Con questo desiderio Ritsos sembra voler affermare che l’osservazione delle vite è anche slancio creativo, immaginativo, e che l’osservazione delle cinque finestre è come una poesia di cinque versi e che, se potesse, firmerebbe a suo nome questa sua azione, così come si firma una poesia. Osservazione, realtà e poesia sono dunque strette in un legame inscindibile: il mondo è uno.

Da questa particolare relazione fra vita, realtà e rappresentazione poetica deriva un rapporto originale col viaggio. Ciò che a Ritsos interessa dell’Italia, almeno della sua trasposizione nel diario in versi, è la vita, non l’arte museale. Essa non è rimossa o evitata, Ritsos non stabilisce certo un banale contrasto fra arte e vita; il fatto è che la sua poesia guarda ad altro, e sente un richiamo espressivo verso altre forme. Lo vediamo, fra i vari esempi possibili, nella visita al Museo Vaticano (Musée du Vatican [Musei Vaticani]): dopo aver contemplato estasiati i capolavori del Rinascimento italiano, gli occhi di Ritsos sentono comunque il bisogno di osservare le luci della città dalla terrazza, il poeta sente il bisogno di fumare, di pensare alla forza carnale del desiderio che in tanta arte casta ha visto represso, sublimato. Le città, difatti, non sono ritratte come in un quadro prospettico, onnicomprensivo, maestoso, ma sempre di taglio, con l’attenzione su piccoli particolari impressionistici. La grande Arte e la Storia sono di sfondo, in quell’intreccio fra tempo della storia e tempo della vita quotidiana che le città italiane offrono con incanto.

Cosa ha da dire a noi lettori del 2020 questo diario di viaggio? Innanzitutto, ci offre un modello, un modo di viaggiare e di osservare. Non si deve certo considerare questo modo di sfiorare con lo sguardo un modo di restare in superficie. Tutt’altro: sembra che Ritsos mostri così il suo rispetto, la sua discrezione nei confronti delle città e dei loro abitanti. Egli ci osserva – sembra dirci – cerca di capirci, di entrare in sintonia con noi. Tutto questo, però, senza cedere a cliché e abbandonarsi in romanticherie, astrazioni, che forse più che una forma di conoscenza rischiano di essere solo il posarsi dei propri pregiudizi su nuovi paesaggi. Ritsos sembra suggerire, invece, che il proprio compito, in quanto uomo e poeta, sia mettersi in ascolto e, come direbbe un altro poeta italiano, di mettere la vita in versi.


Un’ultima riflessione, invece, ce la può suggerire una delle poesie “romane”: Dans la rue qui ne fut pas baptisée « Rue Pasolini » [Nella via che non fu intitolata «via Pasolini»]. Ritsos, durante una delle sue passeggiate mattutine, esplora le strade chiassose e animate nei pressi della stazione Termini. Vede donne e bambini, negozi, schiere di finestre. Si rende conto dello strano contrasto fra una città che si dice «eterna» e tanto brulicare di vita minima, impermanente. Poi realizza che è lì che Pasolini passava le sue notti alla ricerca di ragazzi. Compra quindi un foulard rosso a un chiosco e fischia nel mattino il suo grido: «debout les damnés de la terre, debout les damnés de la terre» [in piedi, dannati della terra, in piedi, dannati della terra]. Si capisce, allora, il titolo della poesia: quel luogo andava intitolato a Pasolini e a tutti i coloro che la terra rifiuta, ai trasgressori, ai dannati, alle vittime. Ecco, il dibattito di questi tempi è tornato attuale. Ritsos ci dà uno spunto di riflessione interessante nel mare di fesserie che sono state dette sul tema. Ogni città, ci suggerisce, porta incise le sue storie e le sue cicatrici. Anche il nome di una strada può esserne testimone. Ebbene, noi a chi vogliamo dedicarle le strade, quale storia vogliamo raccontare, dalla parte di chi ci vogliamo schierare? Ritsos, almeno su questo, non ha dubbi. Debout les damnés de la terre !

Pubblicato da Andrea Bongiorno

Nato a Roma nel giugno del 1993, vive da qualche anno in Francia dove ha intrapreso un dottorato sulla poesia italiana del Novecento. Da sempre legge libri, da alcuni anni ormai li studia partecipando a varie attività di ricerca universitaria. Crede ancora nella letteratura come forma di rappresentazione analitica della realtà.

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