Questa storia – la storia di un baule e della donna che lo custodì tutta la vita – ha diversi inizi e altrettanti protagonisti: nel 2007 John Maloof, un giovane americano, figlio di un rigattiere, sta svolgendo una ricerca sulla città di Chicago; un giorno, nel bel mezzo di un’asta cittadina, acquista, al prezzo di 380 dollari, un baule contenente diversi oggetti espropriati per legge ad una misteriosa donna: vestiti, cappelli, scontrini, e una quantità indefinita di negativi.
Il giovane Maloof decide di sviluppare e stampare alcune foto reperite, le pubblica su Flickr riscuotendo interesse ed entusiasmo. In seguito ad una serie di approfondite ricerche Maloof non tarda a venire a conoscenza del nome della donna misteriosa: si chiama Vivian Maier.
Nel 2016 Cinzia Ghigliano, fumettista italiana, ha pubblicato una biografia illustrata di Vivian Maier dal titolo Lei. Vivian Maier, edita da l’Orecchio Acerbo.
Vivian è una tata che ama trascorrere il tempo libero assieme alla sua macchina fotografica, inizialmente una Rolleiflex professionale, scattando fotografie in giro per le città: New York, Los Angeles, Chicago.
La voce narrante è quella della macchina fotografica, l’amica del cuore di Vivian, dalla quale non si separava mai: «Ai bambini voleva bene, ma io ero il suo unico grande amore. Eccomi qua. Io, la sua macchina fotografica. Vivian mi teneva sempre accanto al cuore».

Vivian Maier è considerata un illustre esponente della Street photography, un genere fotografico che si pone l’obiettivo di catturare momenti di vita spontanei: uomini, donne e bambini fotografati nella realtà della vita di tutti i giorni.
Due bambine giocano in strada – i loro sorrisi testimoniano la contentezza infantile, la gioia di un gioco condiviso. La realtà della strada, la vita nel suo continuo mutare sono elementi fondativi della fotografia di Maier, l’asse intorno a cui tutto ruota, si trasforma: «Un battito del mio occhio, finta palpebra apri e chiudi, fermava il mondo che i suoi occhi scoprivano».

La macchina fotografica è divenuta possibilità di prolungamento del corpo, un mezzo attraverso il quale l’occhio reale vede e cattura – fissandolo – un attimo vivo e pulsante della vita reale: «Nei quartieri poveri, nei mercati, seguiva suoni e odori. Odori e suoni che, nelle sue foto, sembra ancora di sentire». L’occhio umano e reale e l’occhio – irreale? – della macchina imprigionano, attraverso un gioco di luci e ombre, illusioni e allusioni, un momentaneo evento che diverrà eterno. L’occhio – osservatore attento e perspicace – si dirige, con l’ausilio della macchina fotografica, verso il successivo scenario da inquadrare: lo rileva, lo mira, lo irretisce nelle maglie della fotografia: all’angolo di un negozio due donne corrono veloce – si odono i rumori del traffico, l’odore della pioggia battente: è la fotografia di un momento apparentemente anonimo eppur ricco di magia.

Tra il 1959 e il 1960 Vivian intraprese un lungo viaggio in giro per il mondo: visitò le Filippine, la Thailandia, l’India, lo Yemen, l’Egitto, l’Italia e la Francia. Girava in bicicletta e scattava molte foto: «Insieme abbiamo molto viaggiato su autobus, treni, navi. Sempre fotografando il mondo. Dicono fosse di poche parole, lunatica, scostante. Ma le persone per lei erano tutto. Ogni persona una storia. Vivian scattava e il nostro diario prendeva corpo. Si popolava di luoghi diversi, di personaggi strani, di gente che parlava altre lingue. Io sono la penna con cui quel diario è stato scritto. Io, l’occhio strano che ha testimoniato la straordinarietà del quotidiano».
Ogni persona è fotografata nell’immediatezza reale, mai estrapolata dal contesto sociale: la risata di una bambina, lo sguardo torvo di uno sconosciuto, il gesto vivido e spontaneo di un ragazzo che fuma una sigaretta seduto lungo la via.

Vivian attraversa strade, volti, suoni; è alta e sottile, desiderosa di immergersi in quel pozzo senza fondo, brulicante di desideri che è la vita: «Vivian era misteriosa. Usava limone e aceto per lavarsi i capelli, portava camicie da uomo, imprecava in francese, conosceva a memoria tutti i racconti di O. Henry, camminava come un uccello. E così, come un trampoliere dalle lunghe gambe, ha attraversato il suo tempo fotografandolo».
Maier è attenta ai dettagli, ai particolari più insoliti; il suo occhio si avvicina ad una Kodak, ad una Leica e le sue fotografie diventano a colori: catturano dettagli di una inconsueta vita quotidiana.
Borsette colorate, fiori, piedi, tavoli… ogni oggetto è un mondo, un universo scintillante di suoni e odori, odori e suoni nei quali smarrirsi e trovarsi: «Vivian ha sempre vissuto sotto lo stesso tetto dei bambini di cui era tata. Voleva però una stanza tutta per sé con una speciale serratura che isolasse il suo regno dal resto della casa».
Che sia stato un baule la sua stanza? Quel baule dalla serratura speciale che negli anni ha fedelmente custodito le sue memorie – il suo mondo inedito germoglio di vita e di fotografia.
