Cosa aspettano gli animali?

Quel vestito lo conservava nell’armadio per la grande occasione. Aveva previsto tutto, anche l’andatura con cui avrebbe percorso il viale e perfino l’espressione che le sarebbe improvvisamente spuntata sul viso come fanno le giunchiglie nei giardini a inizio marzo. Solo le parole non poteva prevederle. Ma erano davvero necessarie? O tutto sarebbe rimasto sospeso in quell’incontro che con la vita non aveva ormai più niente a che fare? I giorni che la separavano da quel momento li immaginava come dei filari, gli stessi che vedeva da lontano percorrendo la strada di campagna. A guardarli da lì sembravano infiniti ma se soltanto si fosse addentrata in quelle vigne avrebbe scoperto il segreto di quell’interminabile distesa. 

Tutto ormai nella sua vita sembrava esistere in funzione di quell’incontro. Quando ingrassava sperava che le venisse concesso altro tempo per rimettersi in forma e quando invece si vedeva bella allo specchio pensava che fosse un giorno sprecato. Tanta bellezza per niente, si ripeteva pettinandosi i capelli sempre più lunghi.

Di quell’attesa non aveva mai parlato a nessuno. Se ne vergognava. 

Non vogliamo più aspettare. Era questo il grido che i ragazzi della sua generazione portavano nelle piazze in quei giorni. A loro la sua pazienza, tipica delle persone cresciute in campagna, sarebbe apparsa ridicola. «La vita che cerchi ce l’hai davanti» le aveva detto una volta qualcuno ma d’improvviso aveva dimenticato chi fosse.

Il tempo, da quando aveva cominciato ad aspettare, sembrava fatto di una strana materia. Non avrebbe saputo definirla con esattezza ma la immaginava simile a un tessuto sfilacciato. E anche lei ormai poteva definirsi così: un pezzo di stoffa pronto a strapparsi da un momento all’altro. Quell’immagine del tempo le fece venire in mente Penelope, che ingannava i giorni facendo e disfacendo la tela. Ma Penelope aveva aspettato ben vent’anni e lei forse non avrebbe avuto la stessa pazienza. A volte si domandava se fosse la sola in quella condizione o se da qualche parte, magari nelle campagne vicine o in un appartamento di città, esistesse qualcuno come lei.                                                              

Aveva trovato un po’ di pace osservando gli animali. Anche loro sembravano in attesa ma erano pazienti, molto più pazienti di lei. Che cosa aspettano gli animali? Che qualcuno la mattina si ricordi di riempire di fieno la stalla o che lasci gli avanzi nella ciotola all’ingresso della casa, proprio come lei faceva con i gatti, che le ronzavano intorno non appena vedevano la porta di ingresso aprirsi. Quel momento in cui interrompeva la loro attesa le faceva dimenticare per un po’ di essere nella loro stessa condizione. 

Non aveva mai pensato in tutti quegli anni di trasferirsi altrove. Quelle poche volte in cui era andata a Roma si era sentita soffocare da tutta quella gente alla stazione, dagli annunci dei treni in partenza e di quelli in arrivo. Quel chiasso le si infilava nelle orecchie come tante piccole schegge. Ogni volta che scendeva dal treno era talmente confusa da non sapere mai in che direzione andare, se percorrere il lungo corridoio verso destra e sbucare così su Via Marsala o se attraversarlo in direzione opposta, ritrovandosi a Via Giolitti.

Quella scelta era diventata con il tempo un’ossessione. Alla fine aveva capito che non era mai casuale. Girava a destra quando si sentiva poco protetta. I taxi in fila ad aspettare a via Marsala le facevano da scudo e quelle stradine laterali le ricordavano i filari di alberi in campagna. Su via Giolitti invece usciva solo quando aveva intenzione di lasciarsi tutto alle spalle. Il modo naturale in cui quella strada si apriva su Piazza dei Cinquecento le ricordava un fiume che improvvisamente sfocia nel mare. La Roma che visitava quando sbucava su via Giolitti le sembrava diversa e lei anche si sentiva cambiata.

Si perdeva  nel labirinto delle stradine di Monti. Percorreva a passo svelto Via Cavour e accedeva a quel dedalo di vicoli scendendo le scale sulla destra. Non le prime, non quelle accanto alla metro, ma quelle più avanti, che si incontrano camminando in direzione dei Fori Imperiali. Quegli scalini li aveva sempre immaginati come un passaggio segreto. Quella discesa aveva qualcosa di infernale. Sarà per questo, pensò un giorno, mentre lentamente percorreva gradino dopo gradino, che quella zona era chiamata la Suburra. Nella Roma antica era considerato il quartiere più malfamato della città, dove si incontravano ladri e prostitute. Camminare per quelle strade dopo il tramonto in quell’epoca era come sfidare il destino. Lì i delitti erano all’ordine del giorno. Improvvisamente le sembrò strano ripensare a tutti quei pericoli e capì perché decideva di andare lì quando si sentiva più coraggiosa. Voleva respirare quelle strade in cui vi erano ancora tracce di cose proibite. Proprio lei, così innocente, sentiva il bisogno di immergersi in quel catrame.                                       

Un giorno decise di andare fino in fondo e non tornò con il solito treno delle cinque. Voleva anche lei, come tutti gli altri, vedere la città trasformata nella notte. Si mimetizzava tra quella folla di ragazzi in festa e improvvisamente sentiva che stava lasciando lì, tra quelle bottiglie di vetro abbandonate sui sampietrini, qualcosa di suo. La fece sorridere pensare che quella trasformazione avvenisse in Via dei Serpenti,  perché anche lei, proprio come fanno quei rettili, stava lasciando su quella strada la sua vecchia pelle.

Un attimo dopo decise di inoltrarsi in uno di quei vicoli sulla destra, che  parevano tante tane in fila per gli innamorati. E fu lì che li vide. Due ragazzi si baciavano come se non avessero aspettato altro per tutta la vita. Più li spiava e più si convinceva che quella era la prima volta che quei due corpi si avvicinavano perché non c’era più nulla al mondo che potesse distrarli. Per un attimo si vergognò di essere lì. E se l’avessero notata? Non le importava. Mai prima d’ora aveva visto niente di simile. Forse solamente in campagna, quando capitò per caso davanti a due cavalli che si scontravano le teste l’una contro l’altra con dolcezza. All’improvviso tutto le fu chiaro. Capì perché un attimo prima di incontrare quei due ragazzi aveva cambiato pelle: doveva prepararsi per poter vedere quello che da tempo stava aspettando.

Le illustrazioni sono di Alessandra Donato

Pubblicato da Carolina Germini

Nata Roma il 24/09/1993. Si laurea in Filosofia alla Sapienza con una tesi su Gilles Deleuze lettore di Proust. Durante l'Università fa due esperienze Erasmus presso École normale supérieure di Parigi, dove si trasferisce dopo la laurea e dove insegna Filosofia ai bambini. Collabora e scrive regolarmente per diverse testate e riviste e ha da poco fondato Tre Sequenze.

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