La Quarantena non ha impedito di osservare, di svelare curiosità, di evidenziare solitudine e compostezza. Ha permesso di tornare più volte ai piedi di un edificio, all’ingresso di una piazza o di sporgersi da un cavalcavia per approfondirne il senso di vuoto intorno.
I palazzi, con luci colorate che nascono dalle case, sono laboriosi alveari rettangolari; dietro ad una sedia vuota, alla giusta distanza sociale, immersi nello spazio più scuro. Le strade appaiono fiumi puliti e silenziosi, le piazze fino a poco tempo fa erano luogo di manifestazione, mentre adesso i lampioni sono gli unici elementi illusoriamente vitali.
Ma il Tufello non ha paura, i cortili sono aperti, le doppie scale invitano ad entrare o a sostare sulle soglie. Il semaforo verde lascia una comprovata necessità di ripresa.
Alcuni luoghi sembrano vuoti, poi al secondo chilometro ci ritorni e sono densi di attività, tenaci, orgogliosi. Non è assenza di esseri umani, ma è un patto di momentanea distanza e resistenza con il quartiere.









Renato Ferrantini è nato a Roma, ingegnere di professione, vive da dodici anni al Tufello. Fin da subito animo viaggiatore, dal 2013 è appassionato di geopolitica e fotoreportage: utilizza fotografie e documenti storici per approfondire la conoscenza dei luoghi visitati. Dal 2015, come volontario dell’Associazione Baobab Experience, si è dedicato al tema delle migrazioni e ha cercato di seguire con la macchina fotografica i gesti, gli sguardi, i pensieri dei soggetti ritratti allo scopo di realizzare un “reportage di emozioni”.