Palermo: aspirazione all’oblio

La mia esperienza palermitana è durata poco più di un mese, ma è come se avessi vissuto lì più di un anno. Una volta ho sentito dire che, per gli abitanti della città, chi arriva a Palermo, anche soltanto per pochi giorni, diventa a tutti gli effetti palermitano a sua volta. Un turista, un uomo d’affari, un immigrato, un giornalista, un commerciante, un politico, chiunque. Anch’io, allora, ho pensato. Anch’io posso essere palermitana.

Prima della pandemia stavo collaborando al progetto di una serie televisiva, la cui storia è per la maggior parte ambientata in Sicilia. È per questo motivo che all’inizio di febbraio sono partita con tutta la troupe alla volta dell’isola a tre punte, come mi piace chiamarla. 

Adesso che la mia esperienza palermitana si è conclusa, posso affermare che è stato proprio così. Mi sono sentita anch’io parte della città. Palermo ti accoglie, ti abbraccia, ti sorride e ti mostra orgogliosamente i propri contrasti. Ti incanta con il barocco pomposo di certi suoi palazzi, tanto unici da innescare nel viaggiatore il desiderio di staccare un fregio e portarlo a casa. Allo stesso tempo ti colpisce, perché accanto a quei palazzi ce ne sono altri crollati o non ancora ricostruiti dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

In questa città ho amato perdermi, perdermi da sola. Confesso di non aver mai avuto paura. Ho passeggiato al “Mercato ‘u Capu”, alla Vucciria, lungo la Cala, sulle mura delle Cattive, a Villa Giulia e Via Roma. Mi sono inebriata di meraviglia quando sono arrivata per la prima volta in quella che per me è la piazza più bella della città: Piazza Pretoria. Si trova accanto ai Quattro Canti, uno slarghetto nel quale s’intersecano due delle vie principali della città: Via Maqueda e Via Vittorio Emanuele. 

Su Piazza Pretoria si affaccia il Municipio, ma anche quella che ai miei occhi è una delle chiese più incantevoli: S. Caterina di Alessandria. Lo stupore che mi ha colto, entrandovi, è stato grande, perché poche volte nella mia vita ho potuto ammirare le fattezze di un barocco così armonioso e ricco. Sono rimasta affascinata dai suoi marmi, dai suoi stucchi e soprattutto dalle tante storie sulle monache di clausura che abitavano il convento costruito alle spalle della chiesa.

Ho girato la città sempre con una vecchia reflex a tracolla e ho scattato tante fotografie, anche se devo ammettere che il costo odierno dei rullini è a dir poco scandaloso. 

Ciò rende ancora più preziosa ogni singola foto e il momento stesso dello scatto rimane sicuramente impresso nella propria memoria. Le foto di Palermo non le ho ancora sviluppate, forse ho paura del probabile insorgere di un forte senso di malinconia, lo stesso che mi pervade adesso che sto scrivendo queste righe. Questo perché, come ho detto, anch’io sono stata palermitana per un mese.

I palermitani sono un popolo vivace ma testardo, cordiale ma burbero, ospitale ma misterioso. Ho stretto diverse amicizie con alcuni di loro e ho capito che sono persone abituate alla lentezza, che si godono la vita e sanno divertirsi. Sono ospitali, ti fanno subito entrare a pieno titolo all’interno della loro comitiva, del loro ristretto giro di amici, ti presentano colleghi di lavoro, familiari, anche solo perché incrociati per strada.

Ho avuto la fortuna di avere amici del posto, che mi hanno portata al Teatro Massimo ad ascoltare un concerto di musica classica o al piccolo Cinema d’essai Rouge et Noir a vedere vecchi film in bianco e nero restaurati. Culturalmente è una città che mi affascina moltissimo. È piena di bellissimi musei, nonché di un centro storico tenuto molto bene, dove le strade sono anche ben pulite, rispetto ad altre zone della città. È piena di gallerie d’arte, centri culturali, belle librerie, magnifici palazzi, primo fra tutti Palazzo Butera, che ho visitato in una tranquilla serata domenicale. Stava chiudendo ma l’usciere è stato talmente tanto gentile da lasciarmi entrare, anche se ero l’ultima visitatrice.

Sono arrivata fino all’ultima stanza delle vecchie cantine e poi alla cima della torre più alta, dalla quale ho potuto ammirare l’intera città, che, buia e già quasi dormiente, si estendeva sotto i miei occhi. È stata una magia. Ero completamente sola. 

Mentre attraversavo le stanze di Palazzo Butera, con la mia piccola cartellina a tracolla e i capelli raccolti, sentivo echeggiare le parole de Il Gattopardo, libro che ho scelto di rileggere proprio a Palermo. Quanto avrei voluto nascere in quell’epoca e poter vedere la Sicilia di quegli anni! Partecipare ai balli organizzati dai nobili e giocare nel giardino della villa dei principi di Salina insieme al loro cane Bendicò. Avrei voluto innamorarmi del giovane Tancredi come la bella Angelica e osservare le stelle con il suo vecchio zio Fabrizio principe di Salina.

La sensazione che avevo passeggiando e perdendomi per le strade e i vicoli della città di Palermo era una forte spinta verso il centro della terra, verso i bisogni primari, verso le cose importanti, verso un lassismo incontrollabile. Come se un oblio pieno di luce mi richiamasse a sé. Come se lal sensualità delle persone, dei luoghi e del cibo non fosse altro che un forte desiderio di status quo, di un equilibrio fondato sul disequilibrio della decadenza. Questi miei pensieri li ho ritrovati leggendo Il Gattopardo.

Ho ricomprato questo libro proprio mentre ero a Palermo. Pochi giorni dopo il mio arrivo in città, ho scoperto che la domenica mattina c’è un grande mercato di oggetti d’antiquariato e modernariato in Piazza della Marina e così ne sono subito diventata un’affezionata frequentatrice. Ho impiegato ben tre domeniche per trovare finalmente una copia del libro, ma è stato bello così. Avrei potuto ordinarlo su Amazon, ma io volevo una copia che avesse già letto qualcun altro, magari un bambino siciliano alle scuole medie tanti anni prima.

La domenica palermitana, però, è colorata anche da un altro elemento: la sacra passeggiata sulla spiaggia di Mondello. Certo, voi penserete che febbraio sia un mese freddo, un mese invernale, ma questo non vale per la calda e assolata Sicilia. Ho addirittura visto persone in costume fare il bagno in mare! Questo coraggio io non l’ho avuto, ma il sole l’ho preso, eccome se l’ho preso. Il pisolino al sole era la fase successiva al ricco pranzo alla trattoria “Da Piero” nella piazzetta di Mondello, che io e i miei colleghi cinematografari ci concedevamo tutte le domeniche. Abbiamo assaporato un piatto di spaghetti al riccio che ancora mi sogno di notte. E poi si passeggiava davanti a quel mare meraviglioso.

Il colore dell’acqua che c’è a Mondello è di un verde smeraldo così splendente da accecare. Quell’acqua t’invita ad immergerti in essa e farti abbracciare, un po’ come la terra che da essa emerge: la Sicilia stessa.

Dopo la domenica arrivava il lunedì e si tornava sul set, al lavoro e ai nostri orari. Ci svegliavamo sempre all’alba, per catturare una luce limpida e incantevole. È stata dura svegliarsi così presto, ma voltandomi indietro e ripensando a quei giorni, sento la mancanza anche della sveglia alle cinque e trenta. 

Perché a quell’ora il mondo è come sospeso e si risveglia piano piano da sotto le coperte, mentre tu sei già fuori ad attendere che si manifesti.

Forse quella sospensione è la stessa che stiamo vivendo adesso, tutti noi, a causa della pandemia. Allora quello che possiamo fare è soltanto aspettare, sperare e vivere tutta quest’attesa come una possibilità di rinascere, perché piano piano il mondo si manifesterà nuovamente a se stesso e sarà ancora più magnifico di prima. 

Anche Palermo rinascerà. I suoi vicoli torneranno a profumare di fritto già alle sei del mattino, i suoi abitanti torneranno ad abbracciarsi e cantare insieme fuori la Taverna Azzurra della Vucciria, le famiglie si riuniranno per il pranzo domenicale e le pasticcerie sforneranno di nuovo il re e la regina dell’isola: il cannolo e la cassata. I giovani riprenderanno a far festa e ballare tutta la notte nelle case, i bambini potranno nuovamente giocare con gli aquiloni colorati sul lungomare. 

E Palermo potrà essa stessa riabbracciare tutti e forse un giorno potrà riabbracciare anche me!

Pubblicato da valentinafiordiliso

Valentina nasce a Napoli, città che forgia il suo animo. Vive a Roma dall'età di diciannove anni, dove si laurea al DAMS dell'Università degli Studi Roma Tre e contemporaneamente comincia la sua lunga gavetta sui set. Dalla fine del 2015 lavora come freelance nel settore cinematografico per il reparto produttivo. Ha partecipato a progetti quali le serie tv "Il Miracolo" e "Anna" di Niccolò Ammaniti, il film "6 Underground" del regista americano Michael Bay e il prequel de "Il Trono di Spade". Ama passeggiare senza una meta e perdersi per le città.

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