Nel marzo 2020 un gruppo di quindici volontari e volontarie ha realizzato un market sociale a Monte Sacro, nel III Municipio di Roma, per restituire valore alle nostre scelte e contrastare il ritmo forsennato della fast fashion. Chiunque può donare un vestito o prendere un abito in buono stato pagandolo con una moneta simbolica. Un’iniziativa che si fonda soprattutto sulla cura e sul rispetto dell’ambiente.
Joanne prova un cappotto sintetico color salmone, vale un credito di 10 DAR dei cinquanta mensili previsti dal sistema di acquisto solidale realizzato dal gruppo di volontari di DarBazar. Chiede a Martina e Raffaella se la taglia è giusta, le luccicano gli occhi e si rigira davanti allo specchio. Siamo in una delle due stanze al primo piano di Lab! Puzzle, la comunità che ha ridato vita agli spazi dell’edificio in via Monte Meta. Al centro della stanza Rodolfo fa una videochiamata con Paula, la moglie. ‹‹La mamma deve vedere il supermercato dei vestiti!›› esclama ingenuamente Francesco, quattro anni, mentre guarda una vecchia maglietta della Roma su un tavolo alla sua altezza.
Il contrasto con la logica del consumo è netta. ‹‹Il problema è culturale: i vestiti costano meno, ne compriamo di più e li indossiamo per la metà del tempo››. Ad oggi, rispetto agli anni Duemila, il consumo di abiti è cresciuto del 400%. ‹‹È necessario migliorare la sostenibilità delle nostre scelte››. Lo ripete più volte Luana, una volontaria attiva nella comunicazione del gruppo. DarBazar è nato durante il lockdown del mese di marzo. Il nome viene da un gioco di parole: “dar” in arabo significa casa, ma corrisponde anche alla preposizione “dal” in dialetto romano. Ha supportato altre realtà sociali del quartiere, dando una mano nella consegna dei pacchi alimentari e nella raccolta dei prodotti per l’infanzia. Dopo l’estate ha promosso giornate per la donazione di vestiti tra la cittadinanza: è stato introdotto un budget mensile da spendere in DAR, una moneta virtuale caricata su una tessera che viene consegnata ai beneficiari, e il prezzo per ogni capo è stato calcolato in base alla necessità di un cambio completo ogni mese.
Da ottobre, individuati i nuovi locali, DarBazar è di nuovo aperto per garantire a tutti la possibilità di scegliere gratuitamente. L’idea del riuso è intesa soprattutto come obiettivo morale. La donazione non è soltanto un modo per aiutare gli altri, deve anche conferire valore al vestito, alimentare un paradigma di abbigliamento sostenibile. L’industria della moda, che genera la fast fashion, è capace di produrre fino a 52 micro stagioni in un anno, ad un costo bassissimo per il consumatore ma notevolmente più alto per il pianeta in cui viviamo. Li Edelkoort, pioniera olandese di trend di moda e design, nel suo Anti-fashion: a Manifesto for the next decade afferma: ‹‹Com’è possibile che un indumento costi meno di un panino? Come può un prodotto che deve essere seminato, cresciuto, raccolto, setacciato, filato, tagliato e cucito, lavorato, stampato, etichettato, impacchettato e trasportato costare un paio di euro? È impossibile››. Un’evidente provocazione all’industria della moda, che rappresenta la seconda causa di inquinamento al mondo.
Riccardo ha sessant’anni, attende sul corridoio del primo piano che i volontari aggiornino i crediti DAR della sua tessera dopo aver trovato dei pantaloni e delle scarpe per la figlia. Matteo e Francesco si alternano al pc utilizzando un programma per la gestione del magazzino e degli acquisti già impiegato nei campi per rifugiati europei. Riccardo racconta: ‹‹Fino a qualche anno fa facevo l’impiegato in una casa di moda famosa in tutto il mondo, mi occupavo di allestire atelier, ero bravo ed apprezzato ma poi mi hanno mandato via, non avevano più bisogno di me››. Un involontario cortocircuito, uno scambio di ruoli tra passato e presente che lo porta ora ad apprezzare il lavoro di contrasto all’insostenibile leggerezza dello shopping: come se precipitarsi a comprare capi venduti per pochi euro, per poi scordarli nell’armadio dopo poche settimane, avesse un potere terapeutico.
Il giorno di apertura è il sabato; era così già all’inizio della scorsa estate, quando gli spazi del free shop erano ubicati al piano terra. Tra i primi donatori, una coppia di ottantenni. Valerio ricorda quegli istanti come estremamente simbolici: ora tra donatori e beneficiari contano più di cento adesioni. ‹‹Ci chiesero di poter lasciare i vestiti buoni del figlio che non c’era più, avevano notato le maglie colorate e ordinate sulle grucce››. Un progetto etico e consapevole che è ormai uscito dal suo stato embrionale. Una possibilità diversa. Una necessità.
Sara riordina gli abiti da donna negli spazi dell’emporio all’interno dello stabile di Lab! PUZZLE.

Riccardo vive al Tufello con tre figli, da sei anni non lavora. Era impiegato nell’allestimento di atelier per una casa di moda con esperienza in tutto il mondo.

Vista su una parete in allestimento dedicata ai vestiti per i più giovani.

Serena completa l’allestimento nell’area dedicata all’abbigliamento intimo per i più giovani.

Alina attende il suo turno per scaricare i crediti dei DAR e indossare il nuovo cappotto fucsia. I volontari di Dar Bazar utilizzano un programma per la gestione del magazzino e degli acquisti in uso anche nei campi per rifugiati europei.

Matteo trasporta in magazzino una scatola che contiene maglioni taglia M per uomini.

Raffaella allestisce un’area vestiti dedicata ai più giovani.

Danilo e Alvaro si conoscono da venti anni e vivono nelle case popolari del Tufello. Ogni sabato incontrano i volontari di Dar Bazar per scegliere un nuovo maglione e un pantalone.

Loris e Luana fissano alla parete uno specchio donato dalla cittadinanza del III Municipio.

Michele vive al Tufello e ha completato la scelta dei vestiti. È stato introdotto un budget mensile di 50 DAR, una moneta virtuale caricata su una tessera che viene consegnata ai beneficiari.

Joanne prova un cappotto color salmone. Il suo costo è 10 DAR. Il prezzo per ogni capo è stato calcolato in base alla necessità di un cambio completo ogni mese.

Bouchra sceglie i vestiti per le sue due figlie con l’aiuto di Martina. È in Italia con il marito dal 2007 e dopo il lockdown di marzo 2020 non ha più un impiego.

Alcuni volontari di DarBazar al termine della prima giornata di apertura del bazar dopo il riallestimento degli spazi.
