Col caldo, Lisbona odora di sardine e col freddo di castagne al forno, l’ho scoperto andando su e giù per la città, in metropolitana, in tram, in autobus, in treno, a piedi, da solo o in compagnia di Sheila.
Luiz Ruffato
Un titolo ingannevole quello scelto dallo scrittore brasiliano Luiz Ruffato per la sua opera Sono stato a Lisbona e ho pensato a te, pubblicata dalla casa editrice La Nuova Frontiera, che ha il merito di aver tradotto e lanciato questo autore in Italia. Il lettore che afferra il libro tra le mani potrebbe pensare che ad attenderlo vi sia una storia d’amore e in effetti questa idea non si rivela poi così sbagliata. Ma di quale storia d’amore si tratti lo capiamo forse solo alla fine. Una cosa però è certa: queste pagine incarnano in tutta la loro essenza il sentimento della saudade e riescono fino in fondo ad esprimere la sua ineffabilità, descritta magnificamente da Fernando Pessoa in una poesia del 1930.
Vivere è sentire saudade
Non so quale vita sia la mia
ché oggi ho saudade soltanto
di quando avevo saudade.
Vissi lontano nel mondo
e sono come il mondo mi ha fatto
ma serbo nel profondo dell’anima
la mia anima di portoghese.
E il portoghese è saudade.
Perché solo la può sentire
chi possiede questa parola
per dire che ha saudade
E Serginho, protagonista delle pagine di Ruffato, sa bene cosa significhi. Nato e cresciuto a Cataguases, sperduta cittadina brasiliana, decide un giorno di partire per il Portogallo in cerca di una vita migliore. Il signor Oliveira, sentita la notizia, lo incoraggia: «Il futuro è in Portogallo!». E così Serginho parte. Ma ciò che la città di Lisbona gli offre è deludente, soprattutto per uno come lui, che sognava di riscattarsi all’estero e tornare in Brasile acclamato da tutti i suoi concittadini.
È difficile definire a quale genere letterario appartenga questo lavoro. Potremmo immaginarlo come una raccolta di due racconti o addirittura come una lettera. Sono stato a Lisbona e ho pensato a te si presenta come una lunga confessione, come quella che si potrebbe fare ad un amico che non vediamo da anni. Luis Ruffato, nella nota iniziale, definisce il suo libro una testimonianza, leggermente modificata, di Sérgio de Souza Sampaio, annotata in quattro incontri, avvenuti tutti rigorosamente di sabato pomeriggio, nel ristorante Solar do Duque, situato in cima alle scalinate della Calçada do Duque, zona storica di Lisbona.
Questo espediente letterario funziona perfettamente. Il lettore ha l’impressione di essere proprio lì, seduto accanto a Serginho, pronto ad ascoltarlo.
La veste grafica scelta da La Nuova Frontiera per questa edizione contribuisce a rendere ancora più vero il contatto tra noi, Serghino e l’autore. Le linee bianche, rosse e celesti stampate sul bordo della copertina richiamano le buste da lettera usate per le spedizioni internazionali. Il timbro con sopra scritto Lisboa ci illude fino in fondo che Ruffato abbia scelto di consegnare proprio a noi la storia di Serghino.

Diviso in due parti intitolate Come ho smesso di fumare e Come ho ricominciato a fumare, questo libro ricorda per alcuni aspetti l’indolenza del protagonista de La coscienza di Zeno di Italo Svevo. La famosa “ultima sigaretta” di Zeno è un po’ come quella che Serginho si accende alla fine, come segno di resa alla vita e ai suoi tentativi di renderla migliore.
Serghino, nel modo che ha di abitare la città di Lisbona, somiglia ad un cane randagio, che vagabonda per le strade in attesa che un passante o una signora gli offra un pezzo di pane. L’inquietudine e l’attesa scandiscono le sue giornate. La rassegnazione e la delusione di non aver trovato in Portogallo la fortuna di cui parlava il signor Oliveira e la preoccupazione per un futuro incerto non gli permettono di godere appieno della città.
E così, quello che aveva l’aria di essere un viaggio e la più incredibile delle avventure, finisce per rivelarsi un esilio.