Riusciranno i nostri eroi a cambiare uno pneumatico e arrivare in Abruzzo?
Complice il caldo torrido di luglio – qualcuno direbbe l’umidità – ho fatto la scelta vigliacca e irresponsabile di abbandonare la Versilia, dove ogni estate i miei familiari si rifugiano, per ritirarmi qualche giorno in un luogo non troppo distante – così ingenuamente pensavo – in cui non fossi mai stata e, soprattutto, fresco: l’Abruzzo.
Viaggiare irresponsabilmente significa non prendere accorgimenti, come per esempio l’idea che scappare da un luogo significhi scappare dai propri problemi esistenziali, che (spoiler) ti perseguiteranno per tutte le cinque ore di viaggio; sottovalutare la potenza del karma, ovvero che se fino a quel momento l’avevi tirata a tutti quelli che sui social media vedevi sorridere e galleggiare in luoghi ameni, di certo non potevi aspettarti di goderti la tua vacanza last-minute in santa pace; e ultimo, ma non per importanza, viaggiare risparmiando – o meglio, credendo di risparmiare – con una compagnia di autobus a lunga percorrenza, convinta di aver fatto la scelta più economica, intelligente, comoda e sostenibile, insomma, l’affare del secolo.
La scelta pareva strategica: viaggiare di notte col biglietto meno costoso così da arrivare a metà mattinata per non perdersi un minuto dell’Abruzzo e finalmente respirare ossigeno buono alle pendici del Gran Sasso.
Sveglia alle 4.00. Arrivo alle 4.40 al piazzale degli autobus con largo anticipo, dopo aver svegliato mezza Viareggio con il fragore del mio trolley dalle ruote rotte (qui è dove il karma ha cominciato a prendere appunti). Osservo la scia di giovani che scendono dai bus che costeggiano il lungomare trasportando gli avventori delle discoteche di Forte dei Marmi, constatando con un certo snobismo d’antan che quell’era per me, grazie al cielo, è passata. Con piacevole stupore, il mio autobus verde lime sopraggiunge in anticipo alla fermata e accoglie me, unica passeggera in attesa, con un tiepido sorriso del conducente, il quale mi sussurra di non fare caso al posto che mi è stato assegnato ma di sedermi dove voglio, anzi “dove trovi” dal momento che molta gente sta dormendo e non è il caso di svegliarla per una quisquilia del genere.
Mi accorgo quindi con altrettanto stupore che l’autobus è a dir poco strapieno e l’unico scampolo che le luci di cortesia lasciano intravedere sono 30 cm di sedile gentilmente lasciatomi da una turista straniera con il physique du rôle di un’atleta del lancio del martello. Ma che importa, tanto devo dormire.

Ci provo per i primi venti minuti, fino a quando non arriviamo a Pisa-Aeroporto dove la turista straniera mi dice qualcosa in una lingua che mi è nuova (filippino? vietnamita? cambogiano?), così che rispondo con un laconico “Pisa Airport” simulando con le braccia un aeroplano. La turista annuisce e volta gallone. Riprendo a “dormivegliare” anch’io. A Pisa San Rossore scende un po’ di gente e siccome la mia compagna asiatica ha cominciato a russare e farneticare nel sonno (in filippino? vietnamita? cambogiano?), prendo orgogliosamente postazione due file più dietro dove ci sono due sedili vuoti, perfetti per me e per il mio zaino-cuscino. Alle 6.40, l’autista 1 e l’autista 2 (quello che in teoria doveva ricaricare le batterie per il viaggio successivo) ci impongono una pausa caffè e toilette, nonostante tutti i passeggeri dormissero beatamente. “Twenty minutes!”. Il gruppo di incespicanti gufi si dirige in massa, come anime purganti, verso l’autogrill della stazione di servizio di Serravalle Pistoiese. Dopo una fila interminabile, comincio a correre verso il pullman chiedendomi se saranno partiti senza aspettarmi. Invece vedo Autista 1 e Autista 2 intenti a cambiare uno pneumatico. Capiamo quindi che la sosta forzata serviva a permettere loro di cambiare una gomma evidentemente forata. Sorseggiando il mio cappuccio bollente, mi chiedo per un attimo se Autista 1 e Autista 2 siano veramente in grado di cambiare una ruota alta la metà di loro. Me lo chiedo perchè cominciano a essere fradici di sudore e quello che intravedo con la coda dell’occhio da uno dei loro cellulari sembra essere proprio il tutorial su come cambiare uno pneumatico, per non parlare del fatto che la loro espressione in volto è simila a quella di chi sta leggendo il foglietto d’istruzioni di un mobile Ikea.

Nel frattempo un ragazzo si avvicina per offrirsi di aiutare, in qualche modo. Lo farei anch’io ma non saprei da dove iniziare.
Passa un’ora e qualcuno avanza l’ipotesi di chiamare l’assistenza, d’altronde siamo in una stazione di servizio e ci sono a bordo quaranta passeggeri che avrebbero delle coincidenze da prendere una volta arrivati a Roma Tiburtina, vedi la sottoscritta.
Autista 1 e Autista 2 rassicurano sul fatto che hanno quasi finito.
Mi siedo su un cordolo e osservo il panorama, perlomeno grazioso: cipressi, pini marittimi e un castello diroccato fanno da cornice al non-luogo per eccellenza che è l’area di servizio e penso che alla fine poteva andare peggio, potevo trovarmi in una Highway del Texas dove non passa un cane, al più un coyote.
Dopo un’altra sosta toilette, infilo le cuffiette e accendo un podcast. Autista 1 e Autista 1 si sono tolti camicia e cravatta verde lime e si ritrovano in canottiera. Senz’altro è da elogiare l’impegno che profondono.
Verso le 9.00 succede che Autista 1, nel dare l’ultimo giro per saldare il nuovo pneumatico – evidentemente con troppa veemenza – riesce a rompere una valvola e la ruota, quella appena cambiata, comincia a sgonfiarsi.
Autista 1 e Autista 2 si arrendono e contattano l’assistenza.
Ormai arrivata a un livello zen, ma continuando a maledirmi per la finta partenza intelligente, trovo un nuovo passatempo: contare. Non le pecorelle, ma quanti automobilisti si fermano per una sosta col loro cane: ne conto quindici in cinque minuti. E quanti Scania ci sono in quest’area di servizio? Otto. E via così.
A due ore e mezza dalla pausa obbligata, ci arriva un messaggio sul cellulare dalla compagnia di trasporto: “A causa del ritardo e per rendere il tempo di attesa più confortevole, puoi acquistare bevande non alcoliche e snack per un valore di €10. Conserva la ricevuta e inviala al link xsksbfwfjhjsfksfjn per richiedere il rimborso. Ci scusiamo per il disagio”. Nel medesimo istante, le anime purganti si dirigono nuovamente all’autogrill, rinfrancati dal messaggino. Altra sosta toilette.
Siamo qui da quasi cinque ore. La mia coincidenza Roma-L’Aquila è stata riprogrammata. Sarei dovuta arrivare alle 10 e mezza di mattina, arriverò alle 15.30. Forse.
A un certo punto sento una voce strillante provenire dal bagagliaio aperto del pullman. È una passeggera straniera, molto giovane, che ha preso il suo zaino da trekking e ha in mano un pezzo d’imballaggio di cartone. Autista 2 prova in un inglese stentato a dirle che non se ne può andare, che è sotto la loro responsabilità. Scopro che la ragazza è una diciassettenne dell’Azerbaijan. Stanca dell’attesa e dell’inadempienza della compagnia verde lime, si è fatta dare un pezzo di cartone per fare autostop. Si offre di fare da interprete agli autisti un violinista toscano, un habituè delle tournée – vista la professione -, un giramondo. Le spiega che in Italia è illegale fare autostop in strade ad alta velocità, troppo pericoloso. « «You are… COME SI DICE MINORENNE??? Very very young, you under my responsability!». Autista 2 incespica, ma da bravo napoletano si fa capire. «Anche noi non ce ne possiamo andare da qui, è compito nostro portarvi a destinazione, in un modo o nell’altro». Antonio, questo il suo nome, cerca di rasserenarci dicendo che la compagnia ha già pagato il gommista, dobbiamo solo attendere che arrivi e saremo tutti a casa per cena, lui compreso, a mangiare pasta fagioli e cozze, frittura di pesce, peperoni al forno e anguria. Il violinista traduce tutto all’azera, che si siede sconfortata nel portabagagli, sul gommone forato.

Altra sosta toilette. Vado dal benzinaio per farmi restituire il cellulare che avevo lasciato a caricare. Mi tocca chiamare il b&b abruzzese e avvertire del ritardo. .
Mi siedo sul cordolo e ricomincio a contare i cani. Un ragazzo seduto vicino a me, dall’accento smaccatamente pisano, mi chiede dove sono diretta. Dico l’Aquila. Anche lui ha la coincidenza per l’Abruzzo ma è diretto a Pescara. Va a trovare il padre che vive lì. Gli chiedo se è la prima volta che viaggia con la compagnia verde lime. Mi dice di sì e che probabilmente sarà anche l’ultima.
Sono le 13.15 e ora inizia a fare veramente caldo. Altra sosta toilette, se non altro per l’aria condizionata dell’autogrill. Quando torno, nella parte del bagagliaio del pullman s’è formata una cerchia di persone e c’è un gran vociferare. È arrivato Bogdan, un camionista rumeno che ci ha visto in difficoltà e s’è offerto di aiutare. «Ho tutta attrezzatura, tutto… cambio ruota in dieci minuti». Sembra essere una manna dal cielo, finalmente, ma ciò non è possibile perché, come spiega Antonio, la compagnia ha fatto partire la richiesta e già pagato il gommista – che stiamo aspettando da più di un’ora – e non possiamo accettare un aiuto esterno, seppur gradito. Bogdan è stempiato, ha baffi grigi e la pancia da bevitore di birra. Mi fa pensare a quel programma di Chef Rubio sulle trattorie di punta dei camionisti. È simpatico. Vive in Romania con la famiglia e una settimana sì e una no trasporta merce di vario tipo per tutto lo stivale. Mentre Antonio e Bogdan discutono su chi abbia più ferie dell’altro, mi accascio sulla causa dei nostri mali – lo pneumatico forato – dove prima sedeva la ragazza azera, la quale adesso chiacchiera amabilmente con il violinista.
Chiudo gli occhi: sono talmente stanca che mi sembra di sentire delle voci: Io non t’amo; e perciò non inseguirmi… Son come il tuo cagnolino. O mio Demetrio… Non suscitare troppo disgusto nel mio petto, ché io mi sento male se ti vedo… T’inseguirò, e l’inferno diverrà il paradiso se morrò per la mano di chi adoro!
Ricordo di aver recitato questo dialogo al saggio di teatro ai tempi dell’università e ora mi si ripresenta davanti agli occhi sotto forma di un’ Elena neanche ventenne con un taglio biondo sbarazzino e un Demetrio un po’ più grande, con i tatuaggi e la collana buddista. Sono due ragazzi che stanno provando il dialogo da presentare al provino per l’Accademia d’Arte Drammatica di Roma.
«Lo sapevo che erano due attori!», prorompe la ragazza di fianco a me. Catia è una trentenne russofona di origina kazaka che, nonostante ciò, parla perfettamente italiano. Entrambe abbiamo interpretato Elena in Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, io a Reggio Emilia, lei a Praga. Ha studiato Lingue e interpretariato a Bologna e scopriamo di aver abitato nello stesso quartiere, vicino ai colli. Ha girato il mondo e ora sta girando l’Italia in pullman per tentare di vincere una borsa di dottorato di ricerca: arriva da Macerata e domani proverà Chieti, poi si sposterà a Bari, poi Lecce, Palermo, Napoli, infine Perugia. «Cioè in pratica stai facendo l’Interrail dei dottorati!», esclamo divertita e allo stesso tempo ammirata. Mi racconta del suo progetto di ricerca, sui racconti erotici di Anaïs Nin, e finisce a parlare di Lacan e di Gramsci, sempre utilizzando un lessico ricercato e una velocità di pensiero che neanche Chiara Valerio. Per una ventina di minuti mi dimentico quasi di essere ferma in una stazione di servizio da nove ore, con 36 gradi all’ombra, fino a quando, all’improvviso, sopraggiunge un pullman verde lime e si sentono urla di gioia: sono le 15.20 ed è arrivato il bus sostitutivo.
Increduli, raccogliamo i nostri bagagli e salutiamo Antonio e Giuseppe, non sapendo se odiarli, compatirli o ringraziarli (Bogdan è sempre lì che non molla la presa). Antonio, un po’ dispiaciuto, ci lascia andare ed esclama: «Ve l’avevo detto che saremmo stati a casa per cena, mi raccomando fate i bravi guaglioni!». E così la sottoscritta insieme alla futura dottoranda kazaka, l’autostoppista azera, il violinista, il ragazzo pisano, la turista asiatica (filippina? vietnamita? cambogiana?), e il resto dei passeggeri, Elena e Demetrio compresi, ce ne risaliamo sull’altro pullman, puri e disposti a salire alle stelle.
