«Di dove sei?» «Di Roma» «Anche io! Di che zona?» «Trastevere». «Davvero? E dove andavi a scuola?». Questo scambio, negli incontri, ricorre spesso per chi è cresciuto a Roma, ed è una semplice e quotidiana testimonianza delle molteplici realtà che coesistono al suo interno. La divisione in quindici municipi non garantisce un livello di dettaglio sufficiente per cogliere l’eterogeneità della città, ragione per cui gli autori del libro Le mappe della disuguaglianza si servono di dati riferiti alle sue 155 zone urbanistiche per descriverne la geografia sociale metropolitana.
Lo sforzo meritorio dei ricercatori – Salvatore Monni, Keti Lelo e Federico Tomassi – è quello di mettere in luce le disparità sociali di Roma in una prospettiva multidimensionale. Se la diversità nelle condizioni di vita all’interno di una metropoli è naturale, a Roma si ha talvolta la sensazione che vi sia una netta separazione tra le diverse aree, raramente sintetizzata in una visione d’insieme fondata sui dati.
Roma è il più grande comune agricolo d’Italia, la superficie non costruita occupa più di metà del territorio comunale, abitato stabilmente dal 2000 in poi da circa 3 milioni di abitanti secondo i dati anagrafici. È quindi una fake news l’aumento degli abitanti della città di cui si sente parlare? No, ad essere cresciuti però sono gli abitanti della città metropolitana, che corrisponde all’ex-provincia di Roma, passata da 3.7 milioni nel 2000 a 4.2 milioni nel 2018. Gli abitanti di Roma sono distribuiti all’interno della città in maniera tutt’altro che omogenea e i tassi di crescita della popolazione tra le varie aree seguono diversi andamenti. Gli autori del libro ci forniscono una griglia utile per comprenderli meglio.
Immaginiamo di disegnare la città in tre cerchi concentrici, il primo partendo dall’interno è delimitato dall’anello ferroviario, il secondo dal Grande Raccordo Anulare e il terzo dal perimetro comunale. Se Roma fosse abitata da 100 abitanti in totale, una minoranza composta da 18 persone vivrebbe all’interno dell’anello ferroviario, 53 persone vivrebbero tra l’anello e il GRA e 29 fuori dal GRA. Mentre gli abitanti fuori del GRA sono in crescita e hanno registrato un aumento di 184 mila persone negli ultimi vent’anni, nello stesso arco di tempo le zone all’interno del GRA hanno visto la loro popolazione diminuire. Dati ufficialmente testati e confermati ogni giorno sulla pelle dei pendolari all’ora di punta sulla metro B in direzione Colosseo.
Per capire le sfaccettature di Roma, gli autori la dividono in 155 piccole aree, per ognuna delle quali calcolano l’indicatore di interesse: tasso di disoccupazione, tasso di crescita della popolazione, livelli di istruzione, offerta di servizi e molti altri. A seconda dell’intensità del problema l’area viene riempita con una gradazione di colore più o meno marcata, in modo da evidenziare le zone del territorio in cui il problema si concentra. Prendiamo come esempio la mappa che mostra la distribuzione dell’offerta culturale in termini di cinema, teatri e biblioteche per numero di residenti.
L’efficacia di narrare le disuguaglianze tramite le mappe si esprime attraverso la possibilità di individuare dei gradienti territoriali. Solo una mappa infatti riesce a mostrare la diminuzione dell’offerta di servizi sull’asse centro periferia o la distribuzione delle persone sul territorio per fasce di età. Le mappe sulla prevalenza dei giovani e degli anziani nelle zone urbanistiche svelano un quadro ben chiaro delle caratteristiche demografiche fuori e dentro il GRA: leviamoci l’illusione di una neonata famiglia che può permettersi un appartamento dove arriva il profumo dell’arrosto cucinato dalla nonna:
Tutte le mappe e i dati sono consultabili sul sito curato dagli autori, dove potrete soddisfare le vostre curiosità. I dati, se non diversamente specificato, si riferiscono al 2011, ultimo anno per cui è disponibile il censimento Istat per zone urbanistiche. Quella presentata non è una fotografia aggiornata della città, ma un primo tentativo di fare un’analisi territoriale dettagliata. Continuerò provando a descrivere le fratture e le tendenze che riguardano la vita dei giovani adulti di Roma, senza la pretesa di riuscire a sintetizzare la visione e le numerose chiavi di comprensione offerte dalla lettura del libro.
Proseguiamo la passeggiata nella nostra città abitata da cento romani. Le famiglie formate da un solo componente sarebbero circa 16; in numeri assoluti quasi mezzo milione di persone a Roma vive da solo nelle zone centrali, l’Eden dei single, degli studenti e dei vedovi. Il fascino del san pietrino non risparmia di certo la curia, che da secoli si immola popolando il centro città.
Le giovani famiglie romane si spostano invece sempre più verso i quartieri dove i prezzi delle abitazioni sono più contenuti e dove si sta verificando un’urbanizzazione a macchia d’olio, che ha forti ricadute sull’organizzazione dello spazio. La mappa della città per fasce d’età rivela la presenza di almeno due città: nella periferia esterna intorno al GRA risiedono in larga parte giovani e famiglie con due o più figli, nel primo Municipio e in alcune zone della periferia storica come Pietralata, Aurelio Nord e Sud, Casal Bruciato, Ostiense e Tuscolano Nord se vedi un under-30 forse è perché hai gli occhiali appannati, sistema la mascherina e guarda meglio.
Chi non ha una casa di proprietà o non può permettersi un affitto nei quartieri centrali o semi-centrali di Roma, più o meno giovane, è andato a creare delle aree di nuovo insediamento intorno al GRA; andiamo quindi a vedere cosa offrono le diverse zone di Roma in termini di servizi, opportunità di incontro e offerta culturale.
Solo nei quartieri centrali, nelle zone universitarie e in quartieri benestanti come Prati, Flaminio e l’Aventino cinema, teatri e biblioteche sono più di uno ogni mille abitanti; esistono invece zone prive di offerta culturale di questo tipo sia in quartieri benestanti come Medaglie d’Oro, l’Infernetto e Acquatraversa, sia in diverse aree a ridosso o fuori dal GRA e nella periferia storica. Allo stesso modo la disponibilità di negozi di quartiere e la densità di piazze dove incontrarsi diminuisce drasticamente allontanandosi dal centro, rendendo la distanza dal cuore della città sinonimo di distanza dalle opportunità culturali e di interazione sociale.
Le differenze all’interno di Roma si rilevano anche in termini di disponibilità di servizi: in varie zone intorno al Grande Raccordo Anulare – Magliana, Medaglia, Santa Palomba, La Storta, Settebagni, Santa Maria di Galeria e Prima Porta – non esiste alcun asilo pubblico o convenzionato. Le strutture sanitarie, pubbliche o private, sono concentrate nei municipi I, II, e XV e all’Eur; l’Appia Antica è il regno delle cliniche private, mentre il colore della mappa si schiarisce all’esterno del GRA, dove in 42 zone urbanistiche il numero di strutture sanitarie è pari a zero. Sembrerebbe di poter affermare che chi si trasferisce in queste zone non le scelga per la rete di servizi offerta, oggi è anche possibile togliersi ogni dubbio scaricando l’“App IO – servizi per il cittadino”.
E come passano le loro giornate i romani? Quanti hanno un lavoro, più o meno precario? Il tasso di occupazione misura la proporzione degli occupati sul totale della popolazione che potrebbe potenzialmente lavorare, ossia le persone tra i 15 e i 64 anni. Non stupisce scoprire che tra i quartieri con maggiore partecipazione alla forza lavoro rientrano le zone tradizionalmente benestanti di Roma Nord, ma i tassi sono ancora più alti nei quartieri di nuovo insediamento a cavallo del GRA. Qui, come già anticipato, sono andate ad abitare famiglie giovani in cui entrambi i componenti lavorano: stiamo parlando della Magliana (76.6% di occupati), Malafede (73,9%), Acqua Vergine (73,1%) e Lucrezia Romana (71,6%). In queste zone il numero di occupati è di gran lunga maggiore della media in tutta la città metropolitana (53%), un dato che ci ricorda che il gradiente centro-periferia è una lente adatta a capire solo alcuni aspetti della geografia sociale di Roma. Cosa spinge la media verso un valore così basso? Le zone con maggiori difficoltà occupazionali si concentrano nel quadrante est, sul litorale di Ostia e in alcuni nuclei di edilizia residenziale pubblica, dove meno del 45% della forza lavoro è attiva. Magra consolazione: è in queste zone che sono ambientati la maggior parte dei film e delle serie TV.
Ridurre il tessuto sociale di Roma alla sua forza lavoro non le renderebbe giustizia, i pensionati, le casalinghe e gli studenti non si nascondono facilmente: erano oltre un milione di persone nel 2011! I pensionati si concentrano nella periferia storica, le casalinghe sono particolarmente presenti nella periferia più esterna, mentre nelle zone benestanti vediamo picchi di concentrazione di studenti. Le mappe sull’istruzione ci restituiscono una frattura da studiare e valutare: mentre in larga parte della città, in particolare nelle periferie, la percentuale di donne laureate supera quella degli uomini laureati, nel mercato del lavoro le donne sono ancora una componente minoritaria. Le mappe che cercano di dipingere le differenze di genere su istruzione e lavoro ci restituiscono una Roma divisa tra un centro ricco e vecchio a prevalenza di laureati maschi e una periferia giovane con una forte presenza di donne laureate.
Per capire la drammaticità dei dati sull’istruzione bisogna richiamare la città eterna sul pianeta Terra e inquadrarla sul piano internazionale: secondo il censimento del 2011 a Roma il 23% della popolazione tra i 25 e i 64 anni è laureata, a Parigi il 46%, a Berlino il 37% e a Madrid il 47% degli abitanti ha attaccato la vetta dei 180 CFU. Per Roma il 23% è senza ombra di dubbio una media dei polli di Trilussa. Nei quartieri di Parioli e Salario, in alcune zone centrali, all’Eur, nei municipi II, XIV e XV la percentuale di residenti con la laurea supera il 38%, con picchi superiori al 42%. Le quote dei laureati sono invece inferiori al 9% nelle periferie esterne o prossime al GRA ad est, soprattutto nel VI municipio. I residenti con il diploma superiore come massimo livello di istruzione sono distribuiti in maniera più omogenea nella città, mentre la concentrazione di chi ha al massimo la licenza media o elementare è alta nei quadranti periferici, soprattutto nelle periferie a est (27-30%). Questa segmentazione è ancora più preoccupante se letta unitamente ai dati di Openpolis secondo cui a Roma due terzi tra i bambini con i genitori senza un diploma rimangono con lo stesso livello di istruzione della famiglia d’origine.
La parola disuguaglianza sottintende inevitabilmente un giudizio di valore. Ognuno di noi in base al suo vissuto e alle sue opinioni è disposto a tollerare e giustificare un diverso grado di disuguaglianza nelle condizioni di vita di chi lo circonda, senza giudicarla iniqua. Gli autori del libro sospendono il giudizio sui dati presentati, cercando di offrire un quadro preciso in base al quale ognuno è libero di farsi un’idea, un punto di partenza oggettivo per conoscere la città. Alcuni collegano la parola disuguaglianza agli squilibri su scala globale, eppure le opportunità di vita di ciascuno varierebbero anche solo spostandosi qualche fermata metrò più in là. A Torino, per esempio, esiste un tram lungo il quale si perdono cinque mesi di vita al chilometro (Giuseppe Costa, 2017). Esistono alcune disuguaglianze meno esotiche, delle quali è necessario essere consapevoli.
Ci sono quartieri in cui «gli abitanti conoscono i problemi dell’Africa meglio della vita di borgata a Corcolle, [e] vengono a sapere qualcosa delle periferie solo quando i media le raccontano con i soliti stereotipi» (Walter Tocci, 2019) e quartieri come Tor Bella Monaca e Corviale, spesso fraintesi e sottovalutati, che sono luoghi di forte attivismo e sperimentazione sociale con progetti di rigenerazione riusciti.
Il libro dimostra che a Roma una semplificazione centro-periferia è impossibile. Pur facendo riferimento a dati di quasi un decennio fa, emerge un quadro della città non scontato le cui sfaccettature sfuggirebbero anche al cittadino più attento. La buona notizia è che dal 2018 i dati censuari saranno raccolti non più a cadenza decennale ma annualmente, un’ottima occasione per aggiornare le mappe e distaccarsi dalla retorica disfattista di una Roma senza speranza.
Se sono arrivati a dare il nome “via Mejo de gnente” a una strada da tempo attesa, ai romani non manca la motivazione per continuare ad abitare la città. Libri come questo sono fondamentali per renderci più consapevoli delle sue complessità.
