“Senza disturbare nessuno” di Luca Giachi


L’autore mi assicura, con un filo di emozione ancora indomita, che per lui la scuola è stata un vero calvario. E aver cambiato liceo tra il biennio e il triennio delle superiori ha solo in parte alleggerito il carico: di certo non ha sconfitto un suo forte sospetto, che la scuola è il luogo meno indicato per promuovere lo sviluppo della persona, vulnerabile per acclarata verità oggettiva, che è lo/la studente, ed è l’ultimo posto dove si riesca ad apprezzare il gusto della lettura come esperienza di vita in formato alternativo all’esperienza diretta da cui siamo incessantemente travolti.


Luca Giachi, autore di Senza disturbare nessuno, romanzo Giunti destinato in un primo momento alla collana ARYA (libri per Young Adults) e poi approdato nella collana Waves (Onde, come il magnifico romanzo della nostra cara Virginia Woolf, capace nella prima pagina di farci provare il mal di mare), ci ha offerto queste sue osservazioni, semplici e accorate, al Parco Nemorense, durante la presentazione dello scorso 25 luglio, tra le 19 e le 20, davanti a un pubblico numeroso e molto partecipe, sorvegliati, io e lui, dalle brave libraie di L’Altracittà, libreria non universitaria di via Pavia, e da un vento quasi fresco che ha alleggerito non poco la suggestiva ma temuta calura estiva.


Il Parco Nemorense è uno dei luoghi del romanzo: è il parco dove il protagonista, Enrico, diciottenne bocciato alla maturità nel 2017, veniva portato a giocare da bambino da sua madre, Caterina, che ora, come docente di sostegno, si prende cura di Simona, bambina disabile, figlia del libraio titolare di Tra Le Righe in viale Gorizia, e sorellina di Valeria, dalla capigliatura colorata e piercing e tatuaggi sparsi, che Enrico, il giovane protagonista e voce narrante, conosce già, perché Valeria invece l’anno prima è riuscita a superare l’esame di stato e ora circola libera e felice nel mondo.


Poi un libro lega tra loro queste persone, due di loro in particolare: la raccolta delle poesie di Antonia Pozzi – Caterina, madre dolce e remissiva di Enrico, ne ha fatto dono ad un uomo che non è il padre di Enrico ma è proprio il padre di Valeria e Simona, il libraio di Viale Gorizia appunto. Prima di dirvi quale ruolo fondamentale, ma un po’ avrete cominciato a figurarvelo, hanno in questa storia libri e librai, biblioteche e bibliotecarie, poesia e poeti, e poi romanzi e romanzieri/e, e cantanti e canzoni, penso sia giusto trattenerci ancora un po’ sui luoghi del romanzo, che sono poi due, significativamente esplorati, e, per così dire, “viaggiati”.


Sia detto per inciso: l’impressione è che sia dominante nel romanzo, cioè c’è al suo fondo, un’idea dinamica di relazione tra le persone, e delle persone coi luoghi, e anche dei luoghi tra loro, non solo come quinte o sfondi, ma come interagenti con attori e vicende per le loro peculiari caratteristiche e qualità, segnaletici anche della valutazione sociale di questo convulso mondo di personaggi, bisognosi di esporsi o viceversa creature civili e pacate che hanno scelto vite appartate per proteggere la parte più tenera e vulnerabile di sé.


I due luoghi sono Roma e Fregene. Roma con i suoi quartieri diversi, tante piccole città dentro la macro città eterna, versioni diverse di umanità conviventi profondamente distanti: il nostro protagonista e io narrante viene dal quartiere Trieste e si muove verso il Quarticciolo dove frequenta la biblioteca, e verso il Quadraro Vecchio dove va ad una festa di saluto della sua amica bibliotecaria, dieci anni più grande di lui e molto sensibile all’Enrico potenziale forte lettore che lei sa educare nel modo più civile e gentile che c’è, con l’esempio e con l’ascolto. Poi c’è l’EUR, quartiere futurista romano, bellissimo e straniante, dove lavora il padre di Enrico: uomo meticoloso diligente preciso (parole che Enrico non gli lesina, spingendo sull’effetto alienante che queste qualità possono avere su chi lavori e basta) su cui, anche grazie a questo figlio che sempre più prende quota ai suoi occhi come persona, cala una coltre lenta di incertezza e destabilizzazione, fino a spingerlo a cambiare vita. E c’è il Parco degli Acquedotti con i concerti (gruppo di turno: i Citrosodina Alcolica, un nome che è tutto un programma) dove i ragazzi e le ragazze si ritrovano per poter andarci a pogare.


E Fregene, con la sua famosa miracle beach, evocata con un nome appena appena ritoccato ma per chi conosce il posto subito riconoscibile, e soprattutto ritratta esattamente nel luogo un po’ glamour e un po’ sparone che in effetti è, con i suoi cocktail a bordo mare e i suoi tramonti rituali e idolatri, con le ragazze in micro-bikini praticamente attrici di film americani, con le Smart parcheggiate storte e a sfregio cioè apposta in divieto di sosta, e col proprietario, zio del nostro protagonista, fratello di sua madre: due persone agli antipodi, lo zio, descamisado e tutto esteriore, un po’ buzzico, la madre viceversa dolce riservata silenziosa. S’aggiungono Mario, barman mago dei cocktail, e Silvia, che serve ai tavoli sotto lo sguardo triste di lui.

Il nostro protagonista, “piccolo Enrico”, rifiutato dalla scuola e dalla prof di Italiano, e ancora incagliato al punto d) di un suo decalogo ideale (cioè all’impossibilità per adesso di perdere la verginità con Marta che lui crede di amare) ha questo lavoretto estivo come punizione (pure!): dal 1° luglio della disgraziata torrida estate della bocciatura entra nello staff della miracle beach, alle dipendenze di suo zio, e così avvia la spola tra Roma e Roma, tra Roma e Fregene, tra i tramonti glamour sul mare e la casa dei nonni dove da bambino ha passato estati lunghe e felici. E lì fa delle scoperte magnifiche e cruciali sul fronte del tema centrale del libro, che ha, l’autore, giustamente reclamato, nel corso della nostra presentazione, come archetipo universale: il rapporto di un figlio con sua madre. Un tema profondo che intrattiene una relazione forte con
l’urgenza, fattasi oramai irrimandabile per il protagonista, di prendere in mano il proprio destino e cominciare a comprendere le persone fondamentali della propria vita: un’esigenza che passa per lui anche attraverso un rapporto finalmente franco e libero con i libri e la poesia, con i grandi scogli che la scuola ti mette davanti finendo per sbarrarti la strada con domande inutili e pretestuose (come nelle interrogazioni della prof di Italiano), e con la sensazione, parole testuali, che alla fine quegli anni siano stati un’occasione persa.


Il suono che fa da colonna sonora a questo rapporto, dolce affettuoso protettivo, e a tutto il libro, è il silenzio. Il silenzio come deserto affettivo prima o disconnessione d’affetti, suono del ritrarsi in una vita rinunciataria, vissuta senza disturbare nessuno, e poi come convivenza e corrispondenza ritrovata, come comprensione del figlio che ricomprende sua madre, finalmente vista non solo dalla parte del cuore ma come donna, proprio come suo padre, con cui non c’era mai stata vera condivisione profonda, in questo passaggio e grazie a questa crisi, diventa finalmente una persona rivelandoglisi molto meno invincibile, molto meno
determinato.


Un romanzo come storia di un giovane che cresce insieme a quanti condividono il suo percorso e cambiano con lui: non un romanzo di formazione in senso stretto, ha reclamato da qualche parte l’autore, ma discussione in forma di narrazione del rapporto, sì, di un figlio con sua madre, ma, di più, aggiungo io, del rapporto degli adolescenti (creature in cruciale maturazione) col mondo degli adulti (prepotente e già categorizzato), che, spesso in modo drammatico e oppositivo, passa attraverso la scuola.


In questo dettaglio, la ribellione ad essere etichettati a forza, c’è un po’ il nocciolo tematico del libro come il tratto saliente del protagonista, e dopotutto il cuore della poetica di questo autore, giunto al terzo romanzo – i primi due pubblicati con Hacca: Oltre le parole (2008, Mondello Opera Prima) e Come una canzone (2017).


Dopotutto questo romanzo è anche la rivendicazione di un diritto all’ascolto che Enrico rivolge a degli adulti sordi ad ogni richiamo perché intenti a stabilire cosa è meglio per formarlo, cioè incasellarlo, come cittadino, senza nessun riguardo per la felicità, per esempio, o per la sincera e urgente espressione di sé, da salvaguardare per lui e per tutti i ragazzi e le ragazze come lui: una libertà di essere a cui dopotutto anche Marta, presunta fidanzatina, pare aver già rinunciato visto che parla o scrive, dice Enrico, come una pubblicità.


In chiusura, due doverose osservazioni.


La prima è che c’è anche molta allegria e comicità in questo libro, insite entrambe proprio nelle situazioni e in alcune delle persone in esse coinvolte. Fenomenale, per esempio, la prof di Italiano, la Zornolotti (un nome che è tutto un programma, crasi ed epitome delle peculiarità del personaggio), l’unica a non cambiare veramente ma a rivelare semmai un lato mondano del tutto insospettabile, infine sottratta in calcio d’angolo alla caratura di pura caricatura da un minuscolo riferimento che vi lascio il gusto di scoprire. Forte poi Mario, il cocktail barman: a prima vista uno come Fabris (ricordate Compagni di scuola?), destinato invece a mostrare tutta la sua dignità di persona compiuta, benché resti a lungo affezionato al proprio personale crollo.


La seconda fa riferimento alla presenza già accennata della musica, nelle gemme dei Clash e degli Smiths, malinconica felicità o felice malinconia in note, a cui si aggiungono le scoperte degli American Football e dei Black Flags, fino a certi gruppi rock-pop de noantri che rifiutano le etichette di genere per ammettere di fare musica improbabile. Sarà appena il caso di ricordare che: l’autore è musicista (chitarrista); in uno dei primi capitoli, attraverso l’io-narrante, affida l’inventario del proprio caso alla struttura compositiva della canzone; il secondo romanzo di questo autore, già lo si diceva, si intitola proprio Come una canzone.

In casi come questo, viene voglia di chiedersi perché un ragazzo come Enrico, diciottenne nel 2017, aderisca idealmente e affidi la propria espressività alla musica degli anni ’70 e ’80, e, a dispetto di tutto, l’unica risposta che si riesce a trovare è che si trattava proprio di ottima musica.

Al fondo più in fondo, la vera domanda è: cosa rende attuale ciò che è repertorio e in alcuni casi già classico? La risposta, questo romanzo, che tutto sommato racconta la conquista di sé con sempre più convinta presa sulla realtà da parte del protagonista-narratore Enrico e il suo sempre più lucido giudizio sul mondo e sulla vita, la affida al protagonista nascosto, allo sparring partner occulto dell’io narrante: Giacomo Leopardi!

Pubblicato da Daniela Matronola

Sono uno scrittore - a volte poeta, a volte romanziera o raccontatrice, a volte cronista di cronaca culturale o critica/recensora, raramente fotografa. Pubblico dal 1992 sotto varie forme ma sempre col mio nome e la mia faccia. Penso basti.

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